La Convenzione del Pd che si è tenuta a Roma domenica 11 ottobre è durata poche ore, il tempo degli interventi dei tre candidati alla segreteria del partito. Non un Congresso, dunque, ma un appuntamento notarile che ha visto la vittoria di Bersani per 55,1% contro il 36,9% di Franceschini e il 7,9% di Marino. I circoli hanno scelto Bersani, ma la vera scelta è rimandata alle primarie del 25 ottobre. La Convenzione ha avuto un tono minore e per molti versi è stato un passaggio incomprensibile, visto che il dibattito è avvenuto nei circoli (partecipazione ridotta: meno del 50%) e l’elezione ci sarà verso la fine di ottobre, ma queste sono le regole che a suo tempo i Democratici all’unanimità si diedero e che ora in tanti giudicano in maniera non positiva.
Certo è che Bersani e i suoi sostenitori temono che la vittoria nei circoli possa diventare una sconfitta da parte degli elettori delle primarie, mentre Franceschini sta facendo di tutto per contrastare il peso dell’apparato.
“In questi mesi”, ha dichiarato il padre nobile del Pd, Arturo Parisi, “è avvenuto di tutto. L’Afghanistan, l’assalto all’unità del Paese, la crisi economica e morale…Ma tutto ci è passato di fianco (…) Avevo la valigia in mano, poi ho letto D’Alema e sono rimasto sconvolto” da “una convenzione lampo da liquidarsi entro le 13, in tempo per il telegiornale”. O ancora: “Se il Pd non è nato, Rutelli è uno dei principali responsabili. Non possiamo scambiare le vittime con gli assassini”.
Il futuro del Pd, dunque, è nelle mani degli elettori delle primarie e di coloro che accetteranno il risultato del 25 ottobre o ne rimarranno delusi al punto, magari, di mantenere alto il tasso di litigiosità.
Ma, come ognuno sa, quella passata è stata una settimana nera soprattutto per Berlusconi, la sua settimana di passione, dapprima perché è stato ritenuto corresponsabile, in sede civile, insieme alla Fininvest, del risarcimento alla Cir di De Benedetti di quasi 750 milioni di euro come “perdita della chance” per il mancato guadagno (lodo Mondadori), poi perché, due giorni dopo, si è visto rifiutare dalla Corte Costituzionale il Lodo Alfano, quello che per tutta la durata del mandato avrebbe sospeso i processi a suo carico.
In merito al risarcimento della Fininvest a Carlo De Benedetti le cose, in sintesi, stanno così: la Cassazione condannò penalmente il giudice Metta e l’avvocato Previti, accusandoli di avere il secondo corrotto il primo nella sentenza che attribuiva la Mondadori a Berlusconi e non a De Benedetti. Anche se i due industriali nel 1991 pervennero ad un accordo, De Benedetti, successivamente, ha approfittato della sentenza di condanna per chiedere un risarcimento. Risarcimento che il giudice civile ha quantificato in 750 milioni di euro per “perdita di chance”. La sentenza ha suscitato grande clamore sia per l’entità della cifra che per la portata della sentenza stessa.
Ovviamente, De Benedetti dice che giustizia è fatta, Berlusconi grida allo “sconcerto” e attacca il giudice perché a suo avviso persegue l’obiettivo politico di delegittimare il premier come capo del governo e nello stesso tempo l’obiettivo economico di distruggere le sue aziende. Bisogna ricordare che la sentenza di condanna penale emessa a carico di Previti (corruttore) e di Metta (giudice corrotto) assolse Berlusconi, il quale ora dice che il risarcimento semmai dovrebbe essere richiesto a chi è stato condannato, non a chi è stato assolto e che, comunque, il collegio giudicante era composto da tre giudici, quindi anche se uno fosse stato veramente corrotto, non avrebbe potuto con un sol voto condizionare gli altri due che dichiararono che per loro la Cir di De Benedetti era nel torto, al di là dell’opinione del giudice Metta.
Il giudice civile, da parte sua, ha ritenuto che il giudice ritenuto corrotto, Metta, avesse influito sugli altri due. Come si vede la questione, dal punto di vista giuridico e penale, è molto complessa. I legali della Fininvest chiederanno il blocco del risarcimento e faranno appello.
Il colpo più duro, però, dal punto di vista politico, è venuto dalla Corte Costituzionale che, bocciando il lodo Alfano, provoca l’esposizione del premier agli attacchi giudiziari di varie procure.
La Corte ha ritenuto il lodo Alfano incostituzionale in base all’articolo 138 della Costituzione (cittadini uguali di fronte alla legge); il premier ha bollato la sentenza come “politica”, emessa da una Corte formata da giudici schierati politicamente. Ne è seguita anche una dura polemica tra Berlusconi e il capo dello Stato, accusato dal premier di averlo “preso in giro”. In realtà, Giorgio Napolitano stesso ha subìto uno smacco dalla Corte Costituzionale in quanto anche lui, come vari altri giuristi, riteneva che il lodo Alfano potesse essere approvato con la legge ordinaria che lui stesso aveva controfirmato.
Ovviamente, l’opposizione ha esaltato la sentenza come giusta e sacrosanta.
Di Pietro ha chiesto a gran voce le dimissioni del premier, trattandolo da “delinquente” ad AnnoZero. Il Pd ha approvato la sentenza della Corte, ma non ha chiesto le dimissioni del presidente del Consiglio, sia perché è una sentenza che riguarda non la persona, ma la costituzionalità di una legge, sia perché attraversa un periodo di crisi e sia, soprattutto, perché non ha trovato nessuna sponda all’interno della maggioranza di centrodestra che ha fatto quadrato attorno al premier.
In sostanza non c’è stato un secondo 1994, quando il premier ricevette un avviso di garanzia (per un reato del quale dieci anni dopo fu assolto) e la sua maggioranza traballò al punto da costringerlo alle dimissioni.
Il premier ha assicurato che governerà per 5 anni, secondo il mandato ricevuto dagli elettori, e si difenderà personalmente in tribunale dalle accuse.
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