Gli ultimatum e le minacce di Berlusconi di far cadere il governo avranno avuto anche come risultato di far abolire l’Imu sulla prima casa, ma se il governo di un Paese con una crisi così pesante deve vivere continuamente nell’instabilità e nella precarietà, prima o poi salterà, con un tonfo per tutti. Allo stesso modo, dire “se decado io, cadrà anche il governo” è un’inutile prova di forza e di minaccia. Non sono messaggi positivi per il Paese. Il problema di un alleato che ti vota contro esiste ed è serio, ma il fatto che giuristi di varia estrazione politica ed ideologica hanno detto che la legge Severino contiene criticità e dunque che è legittimo per un accusato difendersi, dimostra ancora una volta che separare il piano personale da quello del governo ed operare nella serietà del silenzio per trovare e concordare una strategia, senza che sembri un ricatto, è la via migliore.
Allo stesso modo, che il Pd mostri di aver subito l’abolizione della tassa sulla prima casa significa soltanto non aver capito che l’85% degli italiani ne possiede una e di questi tempi evitare una tassa equivale a non spendere circa 200 euro nei piccoli agglomerati e almeno tre volte tanto nelle città. Senza contare, come dimostrò a suo tempo il sociologo Luca Ricolfi, che attorno alla casa e all’edilizia ruotano lavoro ed occupazione e dunque anche la possibilità di dare una svolta all’economia. Lo stesso si può dire dell’aumento ritenuto “irrimediabile” dell’Iva: farlo significa comprimere l’economia e allontanare la possibilità di agganciare la “ripresina” da tutti intravista. Sarebbe come mettere una palla di piombo nelle tasche di un maratoneta stanco a due o tre chilometri dal traguardo.
A tutti si richiede responsabilità e anche uno sforzo per mettere da parte odi e pregiudizi reciproci, causa di molti mali. Se siamo in Europa, dobbiamo anche trarre una lezione e imparare ad essere europei nell’accezione più nobile: responsabilità, dialogo, rispetto delle regole, educazione e civiltà nei rapporti.
E’ uscito recentemente il “Rapporto Italia 2013”, edito dall’Eurispes. C’è un dato che dovrebbe allarmare i nostri politici e farli riflettere sulla necessità di “mettere la testa a posto”, pena il disastro. Nel 2013 un italiano su quattro si è rivolto a un “compro oro”. La percentuale è salita dall’8,5% al 28,1%. Significa che circa 15 milioni di italiani, per tirare avanti, si sono venduti collanine, anelli, orecchini e bracciali. A sua volta, questo dato è la spia di una situazione che non viene messa abbastanza in evidenza nelle analisi. Fino a pochi anni fa, gli italiani erano noti per essere formiche, per aver accumulato negli anni piccoli risparmi che al termine di un periodo di media durata si erano trasformati in un gruzzolo familiare e individuale di sicurezza. Ebbene, se finora non c’è stata una rivolta popolare vuol dire che gl’italiani hanno messo mano ai loro risparmi ed hanno così tirato avanti. Il fatto è che questi risparmi si sono talmente assottigliati che non sono più una sicurezza. Anzi, o sono ridotti all’osso o si sono volatilizzati. Da cosa lo si deduce? Dal fatto che è cresciuto paurosamente l’indebitamento da credito al consumo. Sono finiti i risparmi e sono aumentati i debiti singoli e familiari. Se a ciò si aggiunge che il lavoro non c’è, non ci vuol molto a tirare le conclusioni. Una situazione così non potrà durare molto a lungo senza collassare.
Si capisce, dunque, come sia urgente che il Parlamento debba guardare a ciò che accade fuori, non restare a farsi la guerra tra parlamentari e partiti, anche perché il male che affligge le forze politiche – la litigiosità, gl’interessi di parte, l’incapacità di risolvere i problemi, i veti incrociati – riguarda tutti, senza esclusione, e sono mali che vengono da lontano e che una buona volta bisognerebbe pure affrontare e risolvere se non vogliamo continuare ad essere provinciali.