Per Luciano Violante “la legalità impone di ascoltare le ragioni dell’accusato”
Dopo vari giorni di aut aut, di pressing e di minacce ad opera soprattutto dei cosiddetti falchi, il Pdl all’inizio della settimana scorsa, dopo un vertice ad Arcore con la partecipazione di ministri e parlamentari per riaffermare la solidarietà di tutti al loro presidente, ha virato bruscamente sulla linea morbida. Berlusconi ha bloccato ogni tendenza centrifuga dicendo, in sostanza: basta, la voce fuori tono non giova a nessuno, né a noi, né al governo, è inutile tirare la corda, il governo deve andare avanti con questa coalizione, sarebbe una follia farlo cadere. Insomma, quasi le stesse parole del premier Letta, che aveva parlato anche lui di “follia”, precisando che la questione della cosiddetta “agibilità” del leader Pdl non aveva nulla a che fare con il governo, ma era un “dossier parlamentare”.
Già da lunedì il clima era cambiato. Casini aveva spezzato una lancia in favore di Berlusconi, facendo notare che la “persecuzione giudiziaria” era innegabile. Poi si è aggiunto anche Monti, di solito molto misurato e istituzionale, che addirittura ha dichiarato che se ci fosse stato un provvedimento di grazia non sarebbe stata la fine del mondo. Ma è soprattutto l’intervento di Luciano Violante, ex responsabile giustizia del Pci-Pds-Ds ed ora “saggio” nominato da Napolitano per la riforma della Giustizia, a spezzare nel Pd il fronte pro decadenza di Berlusconi.
In sostanza, Violante si è aggiunto ad una serie di giuristi vicini e lontani da Berlusconi, i quali hanno detto, in sintesi, che la legge Severino del 31.12.2012 sulla decadenza non è di univoca interpretazione e che può esserci qualche problema di costituzionalità tra la lettera e lo spirito della legge e l’articolo 66 della costituzione stessa. Violante, in un’intervista al Corriere della sera, fa notare che se la Giunta della Commissione del Senato per le elezioni si ferma e chiede un parere alla Consulta fa una cosa “legittima”. Ecco l’opinione di Violante: “La Corte Costituzionale ha ritenuto che il procedimento davanti alla Giunta è di carattere giurisdizionale. Quindi la Giunta, se ritenesse che ci fossero i presupposti, potrebbe sollevare l’eccezione davanti alla Corte. Ma questa non sarebbe dilazione; sarebbe applicazione della Costituzione”. E aggiunge: “Noi siamo una forza legalitaria. La legalità comprende il diritto di difesa e impone di ascoltare le ragioni dell’accusato”. E’ la prima, grande apertura di un giurista organico al Pd, anche se prima di lui erano intervenuti in molti, non certo sospettabili di simpatie berlusconiane, a porre lo stesso problema, e cioè che la legge Severino non comportava la decadenza automatica essendo il fatto avvenuto prima dell’approvazione della legge stessa. In ogni caso, l’autorevole presa di posizione di Violante andava a rafforzare anche l’ala filogovernativa del Pd favorevole alle larghe intese e alla stabilità.
Intanto il 28 agosto, ultimo giorno utile per la presentazione di un’istanza difensiva prima della riunione del 9 settembre della Giunta per le elezioni, arriva la memoria difensiva di Berlusconi dove si annuncia il ricorso alla Consulta e quello alla Corte europea di Strasburgo.La memoria difensiva contiene sei pareri “pro veritate” di autorevoli giuristi, alcuni dei quali politicamente distanti da lui. Il leader Pdl, in sostanza, con quegli atti ha scelto la linea istituzionale. Viene dato corpo alla linea di separare le vicende personali da quelle del governo che “non ha alternativa”. Passa un giorno e intervengono due fatti, uno politico e un altro giudiziario, che monopolizzano la cronaca politica. Il primo è l’approvazione del decreto che cancella l’Imu sulla prima casa. Nel 2014 la tassa sulla casa (ma senza quella sulla prima) verrà accorpata a quella sull’immondizia. E’ stato approvato cioè un provvedimento fortemente voluto dal Pdl, tanto è vero che il centrodestra grida alla vittoria, mentre il centrosinistra si dice soddisfatto. Ma – ed è il secondo fatto – la gioia della “vittoria” dura poco, interrotta dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna a quattro anni sui diritti Mediaset emessa il 31 luglio scorso.
In esse i giudici della Cassazione parlano di Berlusconi come “ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo in vario modo”. In sostanza, scrivono i giudici, pur non essendo più il legale rappresentante delle sue aziende, i “soggetti da lui scelti nelle posizioni cruciali” erano “in contatto diretto con lui”. Per Berlusconi la condanna e le motivazioni vengono liquidate come “allucinanti”. L’avvocato Coppi si dice “deluso”, perché le “argomentazioni sono lontane dalla realtà (…) dimenticando che l’oggetto del processo era l’indicazione di quote di ammortamento nella dichiarazione dei redditi degli anni 2002-2003 (…) nonostante ci fosse la testimonianza di un funzionario Fininvest mai indagato, che aveva detto di essere stato lui a stabilire la ripartizione degli ammortamenti”. Per Coppi “non si è tenuto in nessun conto la gran messe di testimoni che avevano dichiarato come lui non si occupasse da tempo delle questioni quotidiane. Se si voleva sostenere invece che aveva dato disposizioni, ordini, occorreva dimostrarlo”.
All’indomani della pubblicazione delle motivazioni della sentenza e di fronte alla chiusura del Pd malgrado le aperture di tanti giuristi, il leader Pdl manda un messaggio al Pd: “Se mi votano contro, il governo cade”, ma questa minaccia viene subito dopo smentita.