E’ accaduto ad un certo W.B. residente, non per sua volontà, nel carcere di Bollate (Milano)
Succede solo in Italia e solo un’amministrazione pubblica poteva farlo. Nel mirino dell’ironia di tanti lettori c’è l’amministrazione comunale di Monvalle, in provincia di Varese, a dimostrazione che l’ottusità non ha confini. Dunque, l’amministrazione di Monvalle ha fatto recapitare al signor W.B. un’ingiunzione di pagamento dell’Imu per due case in comproprietà con la sorella. Le due case sono state considerate seconde case dall’amministrazione, la prima casa, invece, è stata considerata quella al numero civico 120 di via Cristina di Belgioioso, cioè il penitenziario di Bollate (Milano). Insomma, il signor W.B., siccome si trova in carcere, non paga in quanto la cella viene considerata prima casa, mentre paga le altre due case come seconde, cioè a costi più elevati.
Cosa dice la legge? Dice che le agevolazioni sull’abitazione principale devono essere riconosciute all’unità abitativa “a condizione che il soggetto passivo abbia in quell’unità abitativa la propria residenza anagrafica e vi dimori stabilmente”. In poche parole, siccome il signor W.B. risiede in carcere e vi dimora stabilmente, allora la cella è considerata prima casa, quindi non paga, mentre le sue due case in comproprietà sono seconde case e quindi tassabili a prezzi maggiorati. Non è finita qui, perché anche la sorella di W.B. si trova in carcere (si vede che è un vizio di famiglia) e anche lei ha ricevuto lo stesso trattamento. W.B. ha accolto la notizia con indifferenza, tanto non pagherà mai, non solo perché sta in carcere, ma anche perché non ha un euro. Nemmeno sua sorella ha intenzione di pagare (per gli stessi motivi del fratello) ma quantomeno ha scritto al garante regionale per i diritti dei detenuti, il quale ha subito protestato presso il ministero dell’Economia.
Ad occhio e croce, il funzionario comunale che ha mandato la richiesta di pagamento è incappato in una serie di equivoci dovuti all’ignoranza della legge e probabilmente ad una volontà di persecuzione. Infatti, ha pensato che la residenza anagrafica di W.B. fosse il carcere, dove vivrebbe stabilmente, mentre non si è chiesto che a Bollate ci vive stabilmente sì, però non per sua spontanea volontà, ma perché costretto. Non solo. Il carcere non può essere considerato una dimora abituale sia perché ci vive temporaneamente (non è stato condannato all’ergastolo), sia perché la sua cella non è di sua proprietà, mentre la legge parla di abitazione con residenza anagrafica e dimora abituale ma anche di possesso di quella determinata unità abitativa. Ora, W.B. sarà pure costretto a viverci stabilmente in quella sua cella, ma certamente non l’ha comprata, a meno che il direttore del carcere non gliel’abbia venduta a sua insaputa.
Ecco il commento della direttrice del carcere di Bollate: “E’ la prima volta che ne sento parlare in tanti anni, mi sembra davvero incredibile”.
Il garante regionale per i diritti del detenuto oltre che al ministero dell’Economia ha scritto anche al Comune di Monvalle, ma finora non ha ricevuto nessuna risposta. I motivi, ad occhio e croce, sono due: o perché il funzionario responsabile si trova ancora in ferie e non c’è nessun altro funzionario in ufficio, oppure perché si è reso conto della cantonata che ha preso e non sa più che pesci pigliare, ma così facendo non fa altro che peggiorare la sua situazione. Prima o poi dovrà prendere atto che ha preso lucciole per lanterne e chiedere scusa, cosa che farebbe bene a presentare il più presto possibile.