Il Pontefice ha mandato una lettera ai Grandi del G20 ed ha indetto una giornata di digiuno e di preghiera con il coinvolgimento delle altre religioni
“Con tutta la mia forza”, ha scritto Papa Francesco ai grandi della Terra, “chiedo alle parti in conflitto di non chiudersi nei propri interessi”. E’ questo il passaggio principale con cui Papa Bergoglio entra con la sua forza e la sua autorità morale e spirituale nell’intervallo che separa l’annuncio dell’attacco da parte di Obama contro Damasco all’attacco vero e proprio, con la speranza di scongiurarlo.
Gli argomenti del Papa poggiano su una serie di ragioni e di ragionamenti che cercheremo di sintetizzare di seguito. La soluzione militare rischia di coinvolgere tutto il Medio Oriente in un conflitto che sarebbe un’immane tragedia, con “conseguenze imprevedibili in varie parti del mondo”. La guerra, ha ricordato il Pontefice, ha già provocato in due anni “oltre 110 mila morti, innumerevoli feriti, più di quattro milioni di sfollati interni e più di due milioni di rifugiati nei Paesi vicini”. Il grido di Papa Francesco oltre che nella lettera ai Grandi è rimbombato in Piazza San Petro, quando all’Angelus ha ammonito: “Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza, mai più la guerra”, ricordando le stesse parole di Papa Giovanni Paolo II alla vigilia dell’intervento americano in Iraq nel 2003. Allora le parole di Wojtyla caddero nel vuoto, quelle di Papa Francesco rischiano di fare la stessa fine, ma non è persa ogni speranza.
Il digiuno e la veglia di preghiera di sabato scorso, a cui hanno partecipato milioni di persone in tutto il mondo e 100 mila solo in Piazza san Pietro, rappresentano la voce dei cristiani e degli “uomini di buona volontà” affinché si fermi la guerra, ma il Vaticano non se ne sta con le mani in mano, perché l’offensiva diplomatica è di tutto rispetto. I leader del G20 non sembra che siano stati colpiti dalla lettera, né quelli contrari, né quelli favorevoli all’attacco, ma è dagli ambasciatori di 71 Paesi convocati tutti insieme in Vaticano giovedì della settimana scorsa che il Papa s’attende un impegno più concreto e silenzioso presso i loro governi a favore della pace. Non solo. Il Vaticano ha messo in moto la rete dei Nunzi apostolici presenti in Siria, in Medio Oriente e nei vari Paesi del mondo. Certo, i Nunzi hanno una sola arma, la parola, ma a volte questa vale più di tanti battaglioni, anche se la storia dimostra che si tratta spesso di una pia illusione.
In ogni caso, il Vaticano ha un Nunzio apostolico a Damasco, Mario Zenari, attraverso il quale avvengono le comunicazioni con il governo siriano. Il Papa non ha telefonato ad Assad, come è stato scritto su alcuni giornali, ma la posizione vaticana è chiara: vengono condannati i massacri, la Santa Sede non è equidistante, le colpe non si cancellano, ma la guerra è la risposta peggiore. Di qui l’invito pressante ai Grandi della Terra affinché “abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare e non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze alla regione”.
“Il Papa”, afferma Roberto De Mattei, storico del cristianesimo, “si preoccupa per la presenza dei cristiani. Assad è un dittatore però garantisce protezione mentre i ribelli minacciano le minoranze religiose. Non può esserci una pace fondata sul dialogo islamo-cristiano che sacrifica la verità”. Insomma, tra Assad, dittatore crudele, laico, che garantisce la convivenza, e gli oppositori islamisti che sono peggio di Assad, la scelta è nei fatti, per quanto dettata da necessità.
La Santa Sede, dicevamo, sta facendo di tutto per scongiurare l’attacco, ma alla fine sarà Obama a decidere, e Obama sembra aver già deciso. Prima chiederà il voto delle Camere, in queste ore magari già in atto, ma anche se dovesse essere negativo, ha dichiarato che l’attacco ci sarà comunque. Almeno queste sono le dichiarazioni fatte prima del voto, forse per influenzarlo. Ma è chiaro che se le Camere dovessero votare no all’attacco, allora potrebbe sorgere un problema politico. Potrebbe Obama davvero attaccare la Siria senza il consenso del parlamento? Sarebbe un rischio enorme. Potrebbe accettare un verdetto negativo senza perdere la faccia di fronte al modo? Anche qui, si porrebbe un grosso problema politico. Paradossalmente l’unico voto che potrebbe salvare la leadership degli Usa nel mondo e Obama stesso, a questo punto, sarebbe il consenso all’attacco, che è l’esito più probabile, con tutte le conseguenze che poi ci potranno essere.