Dopo la proposta di Putin e il sì di Obama alla trattativa a Ginevra, è stato raggiunto un accordo: la lista dei gas in sette giorni e dal 14 ottobre adesione della Siria alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche
Saranno stati i tentennamenti di Obama, riluttante ad un attacco non voluto dal popolo americano e nemmeno dal Congresso, visto che cresce il numero dei contrari; saranno stati il digiuno e la veglia in piazza San Pietro, cui hanno aderito milioni di uomini e donne nel mondo, cristiani e non cristiani, laici e musulmani, almeno con qualche adesione importante, uomini e donne di altre religioni; certo è che mentre l’attacco franco-americano alla Siria sembrava imminente è successo il miracolo, prima ancora che Obama si rivolgesse alla nazione e prima ancora che il Congresso si pronunciasse (deve ancora farlo).
Cosa è successo di così importante? E’ successo che Putin, alleato e protettore della Siria si è inserito nell’incertezza americana avanzando una proposta diplomatica racchiusa in poche parole: la Siria metta a disposizione dell’Onu le armi chimiche per una loro distruzione e gli Usa e la Francia rinuncino all’attacco. La proposta ha avuto il suo effetto, ha spiazzato Obama e Hollande, tanto più che Assad ha colto al volo il messaggio e si è detto disponibile ad accettare il controllo dell’Onu e a rinunciare alle armi chimiche, aggiungendo che devono farlo tutti, alludendo ad Israele. Obama non poteva dire di no. Ha rivolto il discorso annunciato alla nazione e al Congresso con il seguente messaggio: l’attacco è necessario per impedire che altri usino impunemente le armi chimiche, ma il Congresso prenda tutto il suo tempo per un voto, nel frattempo andiamo a vedere la proposta russa.
E’ così che la parola è passata dalle armi all’Onu, dove sono state formalizzate le posizioni e dove è iniziato anche il braccio di ferro diplomatico.
Gli Usa, la Francia e la Gran Bretagna accettano la proposta russa di mettere sotto controllo internazionale l’arsenale chimico della Siria e poi di procedere alla sua distruzione, ma presentano al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una risoluzione secondo cui se la Siria non rispetta i patti ci sarà il ricorso all’uso della forza sotto l’egida, appunto, dell’Onu. A questo punto la Russia presenta una controproposta inserita in una risoluzione che prevede il controllo e la successiva distruzione dell’arsenale chimico siriano a condizione che ci sia la rinuncia all’uso della forza da parte dell’Onu o di singoli Stati. Insomma, la diplomazia a volte è una parodia di scene di film polizieschi dove la polizia dice ai sequestratori: liberate gli ostaggi e noi rinunciamo a sparare, e dove i sequestratori dicono alla polizia: gettate le armi e noi liberiamo gli ostaggi.
Come si può immaginare, il braccio di ferro sarà lungo ma già c’è una prima intesa: la lista dei gas dovrà essere consegnata da Assad in sette giorni a partire dalla sigla dell’accordo e dal 14 ottobre dovrà essere firmata l’adesione della Siria alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche.
La soluzione diplomatica conviene agli Usa, perché Obama è fondamentalmente restio ad un attacco dalle conseguenze imprevedibili e perché sa che il popolo non vuole imbarcarsi in una guerra, ma conviene alla Russia, che è entrata nella scena internazionale da protagonista assoluta. Conviene ad Assad, che guadagna tempo ed ha modo di organizzare la controffensiva nei confronti degli oppositori e che nello stesso tempo rientra in gioco accettando la distruzione del suo arsenale chimico. Infatti, in varie interviste concesse a giornali esteri, Assad ha detto in primo luogo che la strage del 21 agosto è stata compiuta dagli oppositori e non dal regime, in secondo luogo che gli Usa devono smetterla di armare gli oppositori stessi che ai suoi occhi sono dei terroristi.
Indubbiamente per Assad, almeno sulla carta, si annunciano tempi migliori, non solo perché la sua offensiva nei confronti degli oppositori sta avendo successo, al punto che i suoi soldati sono in prima linea nella lotta di liberazione di Maaloula, antico paese arroccato sui monti non lontano da Damasco e abitato da cristiani che parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù; non solo perché il controllo dell’arsenale chimico richiede migliaia di ispettori e non meno di tre anni; ma anche perché negli ultimi tempi e sempre di più il fronte degli oppositori sta rivelando un volto diverso da quello finora fatto apparire. Non c’è solo la testimonianza dello storico belga Pierre Piccinin, sequestrato insieme al giornalista de La Stampa, Domenico Quirico (recentemente rilasciati tutti e due), ci sono anche le testimonianze di soccorritori e suore, a Damasco come altrove.
Ha detto Pierre Piccinin: “E’ un dovere morale dirlo. Non è il governo di Assad ad avere utilizzato il gas sarin nella periferia di Damasco”. Quirico parla di una “rivoluzione che ha perso il suo onore” e di “combattenti per la libertà che sono diventati banditi, mentre i leader se ne stanno in hotel di lusso in Europa”. A Damasco, una suora italiana che soccorre i feriti dell’una e dell’altra parte, dice: “Speriamo che l’Onu dica la verità. Qui sentiamo parlare di fotomontaggi. Hanno preso tanti bambini per ucciderli insieme, senza gente grande… e quelli che li soccorrevano perché non sono morti? Arrivano da fuori orde di terroristi, che non parlano l’arabo, mandati e sostenuti dagli oppositori. Commettono atrocità, sequestri, uccisioni, fanno esplodere bombe. I soldati di Assad non fanno altro che difendere la popolazione”.
Sono testimonianze forti, ma domenica viene diffusa la notizia dall’Onu secondo cui a usar il gas è stato proprio Assad.
Intanto l’accordo russo-americano sembra procedere: la guerra, per ora, è scongiurata.