Dopo lo “shutdown” che ha lasciato a casa circa 800 mila impiegati, la Casa Bianca deve a tutti i costi evitare il default
Dal primo ottobre gli Usa sono in stato di “shutdown” – chiusura di una parte dell’attività di governo – che vuol dire che circa 800 mila impiegati non prendono la paga e perciò sono stati licenziati, almeno per tutto il tempo dello “shutdown”. Perché è avvenuto ciò? Semplicemente perché l’anno finanziario 2014 parte dal primo di ottobre e siccome non c’è stato accordo sul bilancio tra repubblicani e democratici, i primi non l’hanno votato e dunque il governo non dispone dei soldi per pagare tutti gl’impiegati.
Lo “shutdown” si è già verificato nel 1996 ed è durato alcuni giorni. Anche questo in corso potrebbe essere destinato a durare alcuni giorni, ma c’è un rischio: se entro il 17 ottobre repubblicani e democratici non raggiungeranno l’accordo per innalzare il tetto del debito, allora saranno guai, perché gli Stati uniti non potranno più pagare i debiti e dunque sarà default, cioè fallimento, con rischi enormi per il dollari, per l’occupazione e per i fallimenti di industrie.
Quali sono le cause di questo mancato accordo? Dal primo di ottobre non è solo scattato il nuovo anno finanziario, ma anche l’entrata in vigore della Obamacare, cioè della riforma sanitaria, cavallo di battaglia del presidente, che estenderà progressivamente a circa quaranta milioni di americani, in genere poveri e finora esclusi, la polizza assicurativa della malattia, che significa forte aumento della spesa pubblica.
I repubblicani si sono opposti al finanziamento da parte del Congresso della legge sanitaria e non è stata trovato nessun compromesso accettabile dall’una e dall’altra parte per smembrare la riforma, per cui il disaccordo si è tradotto in una distanza sul voto al bilancio dello Stato. Di qui lo “shutdown”. Obama accusa i repubblicani di irresponsabilità, dicendo: “Non posso trattare con una pistola puntata alla tempia”. I repubblicani, invece, dicono: “(Obama) parla con la Russia, parla con l’Iran, ha colloqui con Israele, ma non con noi”.
La situazione si è verificata perché l’amministrazione Obama non ha la maggioranza assoluta nelle due Camere, al Congresso ce l’hanno i repubblicani. Ora, questi ultimi hanno una situazione interna complessa ma sostanzialmente sintetizzabile in questo modo: siccome non hanno un leader carismatico che faccia la sintesi tra le diverse anime interne, c’è l’ala destra, che è rappresentata dai famosi Tea Parthy, a dominare con i suoi numeri e con il radicamento sul territorio. Quest’ala destra ha potere di influenzare gli elettori e siccome ci saranno le elezioni alla Camera dei rappresentanti ognuno vuol essere rieletto e dunque vuole poter contare sull’influenza dei Tea Parthy. Il mancato accordo tra i democratici e i repubblicani sostanzialmente è questo, e siccome Obama ha rifiutato lo smembramento della riforma sanitaria i Tea Parthy rifiutano di dare una mano al presidente che ha fatto approvare una riforma molto costosa per lo Stato che deve pagare le assicurazioni.
Anche Obama è un po’ colpevole di questo stato di cose perché anche lui è oscillante tra l’ala radicale dei democratici e l’ala dialogante e moderata. Ad esempio, sull’attacco alla Siria i moderati non lo vogliono, mentre i radicali sì, per cui il presidente è stato costretto a non forzare la mano perché altrimenti avrebbe rischiato di perdere. Ora l’indecisione di Obama ha indispettito l’altra parte, per cui si è creata una situazione di incertezza che si è ripercossa sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. La prima conseguenza è stata che Putin, a proposito della Siria, ha approfittato della debolezza della leadership americana ed ha avanzato proposte concrete per uscire dalla crisi siriana, proposte che attualmente sono oggetto di accordo tra Russia e Usa e che hanno evitato l’attacco a Damasco e prefigurato una soluzione politica. Insomma, Putin è rientrato nel grande gioco diplomatico riacquistando quella capacità de leadership che l’Urss perse dopo il suo crollo.
Ma le conseguenze dell’incertezza di Obama si stanno ripercuotendo anche nel Pacifico, scelto da Obama come teatro strategico del’influenza americana nel mondo. A causa dello “shutdown” e dei timori di un default, Obama ha preferito rimanere a casa, cancellando il viaggio in Asia per partecipare al Summit del Pacifico. Questo viaggio mancato implica una perdita di influenza in tutta la regione, proprio ora che è in atto la sfida Usa-Cina per guadagnare zone d’influenza. Non solo, dunque, gli Usa si mostrano fragili nei confronti di possibili alleati, ma si stanno dimostrando deboli anche nei confronti della Malaysia e delle Filippine, Paesi tradizionalmente alleati degli Usa. I problemi interni, quindi, hanno un peso determinante sul ruolo degli Usa nel mondo, anche perché gli stessi problemi interni possono propagarsi anche al resto del mondo. Se l’economia Usa va forte, se ne avvantaggiano anche l’Europa e il resto del mondo, se va male ne risentono anche gli altri, ma, appunto questo stato di incertezza non giova a favore dell’America, soprattutto perché Cina e Russia non vedono l’ora di riempire i vuoti Usa.
Secondo autorevoli commentatori ed esperti, comunque, non si dovrebbe arrivare al default. La posta in gioco è troppo alta, addirittura il rischio di una catastrofe ancora più pesante del 2008, e di fronte a questo rischio qualcuno dovrà cedere.