Berlusconi, che si avvia ad essere dichiarato decaduto da senatore e che, consigliato dall’avvocato Coppi, sceglierà i servizi sociali, fa da paciere nel suo Pdl ma una rottura non la si può escludere
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, all’indomani della fiducia politica (Alfano e il gruppo dei “governativi”, circa 23 senatori e una trentina di deputati) e di quella numerica (Berlusconi e i falchi), ha dichiarato che “se non ci sarà una rottura nel centrodestra sarà stata tutta una finzione”. Il giudizio di Franceschini, allo stato attuale delle cose, è vero solo a metà. La rottura c’è stata tra i due gruppi del Pdl, c’è stata con la conta, c’è stata con la separazione dei destini giudiziari di Berlusconi dalle attività di governo, c’è stata con l’atteggiamento costruttivo, non minaccioso, verso il governo di cui fanno parte e fa parte formalmente tutto il Pdl, c’è stata perché in modo netto e fermo è stato posto il problema della successione di Berlusconi e delle prospettive del centrodestra stesso: moderazione, non radicalismo, politica non rissa.
Se Franceschini voleva dire rottura con Berlusconi, ebbene, questa non c’è stata, perché tutti e due i gruppi continuano a vedere nel loro leader storico un punto di riferimento e di sintesi. Da Alfano a Cicchitto, da Lupi a Quagliariello, nessuno ha rinnegato o preso le distanze dal leader storico del centrodestra, hanno detto che il suo radicalismo era stato fomentato dai cattivi consiglieri. Berlusconi, dal canto suo, malgrado abbia votato alla fine la fiducia, è rimasto sconfitto perché non ha più potere di condizionamento in quanto la maggioranza politica esiste indipendentemente da lui. E’ rimasto sconfitto perché il suo destino, esattamente come volevano Letta e Alfano, riguarda solo la sua persona e non il governo o l’esistenza stessa del centrodestra, ma il fatto che alla Giunta per le immunità tutti i membri del Pdl abbiano votato contro la decadenza sta ad indicare, appunto, che non è stato estromesso dal centrodestra ma solo dal potere di condizionare la vita politica del governo. Paradossalmente, c’è voluta la sua sconfitta per fargli assumere un tono moderato e fare quello che avrebbe dovuto fare prima (compresi i domiciliari al posto dei servizi sociali, anche se la scelta è consigliata dall’avvocato) . In realtà, Franceschini ha ragione quando parla di rottura, perché essa esiste tra i due gruppi, definiti “falchi” e “colombe”, di cui uno è capeggiato da Alfano, segretario del Pdl e ministro degli Interni, l’altro sembra essere guidato da Raffaele Fitto, ex presidente della Regione Puglia. In mezzo sta Berlusconi, da tutti riconosciuto leader, che adesso sta svolgendo un compito delicato: tenere insieme il centrodestra, anche se questo è un obiettivo difficile da raggiungere. Il contrasto tra i due gruppi sembra insanabile. I motivi? La prospettiva del Pdl e del centrodestra. In sintesi. Il vincitore Alfano pone problemi sul suo ruolo e sulla sua leadership. Nuovi incarichi nel partito, con una redistribuzione di posti e incarichi. In dettaglio: via Santanché, via Bondi, via Capezzone, Via Verdini, via Brunetta e al loro posto uomini e donne anche dell’altro gruppo dei falchi, anche se molti non amano questa definizione (lo stesso Fitto, ma soprattutto Gelmini, Carfagna, Nitto Palma, Bergamini, Polverini, Saverio Romano, Prestigiacomo, Matteoli, lo stesso Gasparri). Dall’altra parte, sparita negli ultimi giorni Santanché e zittiti Bondi, Capezzone e Verdini, a rappresentare il gruppo dei “lealisti” (così si definiscono coloro che volevano votare la sfiducia al governo) è emerso Raffaele Fitto, che con un’intervista sul Corriere di domenica, ha precisato il suo pensiero e anche le differenze. Fitto vuole la sfida per la leadership, dunque non riconosce Alfano, e dice: “ Siamo quelli che si rifiutano di accettare che i 20 anni della nostra storia possano essere raccontati come un romanzo criminale. Siamo quelli che sostengono con forza la battaglia contro l’oppressione fiscale, e che vogliono scelte chiare sul taglio della spesa pubblica. E infine, siamo quelli che credono nel bipolarismo e nel presidenzialismo, in una chiara democrazia dell’alternanza che costruisce un centrodestra modernizzatore, appena superata questa fase di transizione del governo delle larghe intese”. Tra parentesi: da notare che su quest’ultimo punto del bipolarismo Renzi, ma anche Cuperlo, candidato di Bersani e di D’Alema, vogliono la stessa cosa, a differenza del progetto dei centristi di estrazione cattolica come Fioroni e, si dice, lo stesso Letta e l’area dei non Ds. Chiusa parentesi.
Berlusconi dà fiducia ad Alfano, invita ad includere tutti, ma la sfida aperta tra i due non può che portare allo scontro e probabilmente alla separazione, se non altro perché Fitto ha dalla sua la parte perdente anche se, pare, maggioritaria, almeno finora. E’ ben possibile che molti del gruppo adesso maggioritario di Fitto passino a sostenere Alfano. Se così sarà, vorrà dire che il tentativo di unificare è fallito, che la frammentazione è in atto nel centrodestra, che rischia di ritrovarsi con Pdl, Lega e Forza Italia, più Fratelli d’Italia e vari altri satelliti, senza un vero leader. Alfano, nella vicenda fiducia al governo, ha dimostrato di avere il “quid”, ma deve ancora dimostrare di saperlo capitalizzare e di essere in grado di interpretare un centrodestra maturo e vivo. Reggerà? E’ presto per dirlo, ma che la leadership di Alfano o di Fitto debba passare per un congresso, come nel Pd, sembra ormai ineluttabile.