L’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco) è stata fondata cinquanta anni fa. Alla fine di questo periodo ha tracciato un bilancio della salute del cuore degli italiani nell’ultimo mezzo secolo. Lo ha fatto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità.
Ecco, in sintesi, le conclusioni del bilancio. Cinquant’anni fa la salute del cuore era molto peggio di adesso. I nostri nonni avevano grossi problemi di cuore, in molti morivano d’infarto, e soprattutto molti morivano a 40-50 anni. Non solo. Chi sopravviveva, in genere rimaneva un mese in ospedale e quando usciva, veniva considerato invalido a vita, con il rischio di un nuovo episodio, con altissime probabilità mortale.
Quali erano 50 anni fa i fattori di rischio che provocavano l’infarto? Erano essenzialmente tre, quelli di oggi: la pressione alta, che magari veniva sottovalutata o addirittura non riconosciuta dallo stesso paziente, il fumo e il colesterolo. Abbiamo detto che la pressione alta se non era sconosciuta (al paziente) poco ci mancava.
In effetti, si andava di meno dal medico. Specialmente nei piccoli paesi, quando ancora si pagava, andare dal medico era un lusso, di conseguenza per negligenza ci si esponeva a maggiori rischi. Quando è stata introdotta la mutua, di fatto gli stessi interessati sottovalutavano il pericolo della pressione arteriosa alta. Quanto al fumo, allora gli uomini fumano in ragione di otto su dieci, quindi di più rispetto ad ora, e le donne fumavano poco, meno dell’8%. Il rischio dell’infarto tanto elevato provocato dal fumo tra gli uomini si spiega con il fumo, mentre l’infarto per le donne era meno rischioso rispetto agli uomini, in parte proprio grazie all’abitudine meno diffusa a fumare. Quanto al colesterolo, una volta si mangiava senza tanti abusi di grassi, come, invece, avviene oggi. Ai nostri tempi, infatti, il numero delle vittime per infarto si è ridotto a 35 mila unità all’anno, quindi la mortalità è scesa del 60 per cento, che non è poco. Nel rapporto dell’Anmco si dice che è come se si fossero salvati gli abitanti di Firenze e di Bologna messi insieme, cioè circa 750 mila persone.
Ciononostante, malgrado le cure siano più efficaci, sono molti gl’italiani che, per sottovalutare il rischio d’infarto, si abbandonano ad abitudini che fanno aumentare i pericoli. Ad esempio, non c’è solo il fumo, c’è la sedentarietà, c’è l’alimentazione sbagliata, tutti fattori che contribuiscono a provocare un evento come l’infarto. Non solo. Quando si è avuto un infarto, l’efficacia delle cure può essere vanificata dalla sottovalutazione dell’evento stesso e della possibilità di averne un altro. Poi ci sono i rischi collegati agli stili di vita, che riguardano tutti, ma in particolare i giovani. Lo “sballo” del fine settimana, ad esempio, l’abuso di droghe e di alcol, la conseguente “depressione da crisi” e, nel caso delle ragazze, il mix provocato dal fumo e dalla pillola anticoncezionale mette a rischio la salute con un 30% in più di possibilità di un infarto. A questo punto, dice il rapporto dell’Anmco, non è difficile constatare che il numero dei decessi per malattie cardiovascolari sia tornato a salire. Per concludere, il consiglio dell’Anmco è di approfittare della migliore capacità diagnostica raggiunta ora rispetto ai decenni scorsi.
Dice infatti il dottor Bovenzi, presidente dell’Anmco: “Oggi, infatti, siamo in grado di individuare mini-infarti che in passato non si riconoscevano e che potrebbero essere preziosi campanelli d’allarme. Abbiamo dunque tutto ciò che ci serve, perché la mortalità per infarto si trasformi da un’epidemia in un’endemia, ma gli italiani devono capire che per riuscirvi serve ormai soprattutto il loro impegno nel perseguire corretti stili di vita. La consapevolezza del rischio cardio-vascolare deve dunque riguardare non solo gli anziani, o coloro che sono colpiti da malattie importanti, ma anche i giovani, che ne sottovalutano l’importanza e si considerano a torto meno a rischio di altri”.