La cronaca politica degli ultimi giorni si è arricchita di molti avvenimenti; in particolare vogliamo concentrare l’attenzione sull’accordo sul Welfare e sulle intercettazioni Rai-Mediaset.
Come si ricorderà, uno dei temi del programma elettorale dell’Unione era l’abolizione dello scalone previsto dalla riforma delle pensioni che porta il nome di Maroni, ex ministro del Lavoro del governo precedente. Lo scalone prevede che a partire dal primo gennaio 2008 si potrà andare in pensione con 35 anni di contributi e 60 anni di età, limite che nel 2014 salirà a 62 anni.
Nel mese di luglio l’accordo tra governo, sindacati e confindustria prevedeva l’abolizione dello scalone e che, dal primo gennaio 2008, si potesse andare in pensione a 58 anni, poi a 59 e poi ancora a 60, fino ai 62 nel 2014. In sostanza, lo scalone diventava uno scalino. Al centro del problema c’erano i costi, ma comunque l’accordo fu firmato. Salvo poi essere rimesso in discussione dalla sinistra comunista, per cui, senza una preventiva riunione con i sindacati e la confindustria, quell’accordo fu riformulato, prevedendo un allargamento della platea dei lavori usuranti (con conseguente sfondamento della spesa pubblica), un irrigidimento sui contratti a termine e l’abolizione dello staff leasing.
Che cosa è successo? L’Udeur e il Manifesto liberale di Lamberto Dini (ma anche confindustria e sindacati) hanno chiaramente detto che loro questo secondo accordo non lo voteranno mai se questo significa aumentare la spesa (che, tra l’altro, secondo l’opposizione, non è di 10, ma di ben 23 miliardi). La sinistra radicale, dal canto suo, non è disponibile a recedere dal secondo accordo.
Di fronte a questa incertezza, il governo ha posto la fiducia alla Camera, proprio là dove i numeri della maggioranza sono talmente sovrastanti che è evidente il motivo politico. In sostanza il governo ha posto la fiducia ma non ha detto su quale testo, se sul primo o sul secondo. La votazione dovrebbe avvenire proprio quando il giornale arriverà nelle case degli abbonati.
Ultimo fatto di cronaca politica degno di rilievo sono le telefonate tra Rai e Mediaset, che hanno fatto gridare alcuni allo scandalo e all’inciucio.
“Le due superpotenze nazionali della tv, che dovrebbero competere aspramente per la conquista dell’audience e fare a gara nella pubblicazione di servizi esclusivi, in realtà si scambiano informazioni sui palinsesti. Concordano le strategie informative nel caso dei grandi eventi della cronaca. Orchestrano i resoconti della politica. Su tutto, la grande mano di Silvio Berlusconi e dei suoi collaboratori, che quotidianamente tessono la tela, fanno decine, centinaia di telefonate, si scambiano notizie, organizzano fino ai più piccoli dettagli”.
Tutto è cominciato con le rivelazioni del quotidiano ‘La Repubblica’ del 21 novembre, secondo le quali le sarebbero emersi accordi tra Rai e Mediaset nel biennio 2004/05 dalle intercettazioni telefoniche allegate all’inchiesta sul fallimento della “Hdc”, la holding dell’ex sondaggista del Cavaliere, Luigi Crespi.
Secche e molteplici le reazioni dei diretti interessati e del mondo della politica.
L’ex direttore generale della Rai, Flavio Cattaneo, replica alle accuse di servilismo nei confronti del Biscione. “Il messaggio di accordo tra le due aziende o di ‘patti’ a qualsiasi titolo è quanto di più lontano esista dalla mia cultura aziendale e dalla mia etica professionale.
A proposito della competizione tra Rai e Mediaset, ancora una volta parlano dati incontrovertibili e verificabili da tutti. I fatti dicono che, sotto la mia gestione, la Rai ha sempre battuto globalmente il principale competitore nel prime time, che la raccolta pubblicitaria è aumentata, che gli utili hanno raggiunto i 130 milioni di euro, dopo anni ben diversi”.
Secondo il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni quella scattata dalle intercettazioni è “una brutta foto d’epoca dell’Italia ai tempi del governo Berlusconi: che il clima fosse di quel tipo, all’epoca lo denunciammo in tanti dall’opposizione. E’ una conferma dei sospetti, anche dei peggiori. Ora ne viene fuori uno squarcio dall’interno”.
Sdegnata la replica di Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset. “Potrei dire che è una tempesta in un bicchier d’acqua, ma in realtà credo ci sia di più. C’è qualcuno che manovra per farci tornare ai tempi della P2. Quelle carte non sono uscite per caso. E, per di più, in questo momento – spiega il capo del ‘Biscione’ – si vuole colpire ancora una volta il Berlusconi imprenditore sulla ‘roba’, cioè le sue aziende, dando una accelerata alla legge Gentiloni sulla riforma televisiva che ormai avevano capito tutti che era come un ‘dead man walking’ per essere pregiudizialmente e inutilmente avversa al Cavaliere”.
A metter pace tra i due schieramenti in attesa che le indagini facciano il proprio corso si è alzato anche lo scudo del presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano ha evitato di entrare troppo nel merito della questione Rai-Mediaset, ma ha chiarito senza mezzi termini che “in linea di principio le intercettazioni sarebbe bene che restassero dove devono restare, almeno fino a che c’è il segreto istruttorio”.
Anche se sicuramente si parlerà ancora molto di questo argomento, che sia una tempesta in un bicchier d’acqua lo sostengono anche altri. A sdrammatizzare, infatti, è intervenuto Pier Luigi Celli, ex direttore generale della Rai targato Ulivo ai tempi del governo di centrosinistra fino al 2001. Ecco le sue dichiarazioni: “Le telefonate dei politici alla Rai ci sono sempre state, sarebbe un’ipocrisia negarlo. Non ci si può stracciare le vesti a corrente alternata né indignarsi a seconda di chi sono i bersagli. Certi criteri devono valere sempre . Io non volevo una Rai schierata prima delle urne (…) mandai uno, due, tre segnali, poi me ne andai. In seguito accadde ciò che sappiamo: i programmi Travaglio-Luttazzi, i casi Santoro, una Rai schieratissima…”.