Le notizie di fatti e di politica internazionale della settimana scorsa, degne di rilievo, sono tre: i commenti sul Premio Nobel per la Pace ad Obama, le impiccagioni e le fucilazioni in Iran e in Cina e, ciò che riguarda più da vicino l’Italia, le “rivelazioni” del Times, secondo cui l’Italia, per non avere problemi con i talebani, li avrebbe “pagati”. Ovviamente, quest’ultima notizia non è solo un fatto di cronaca, ma ha risvolti per la credibilità del Paese in campo internazionale.
Il Nobel per la Pace ad Obama continua a far discutere i commentatori di tutto il mondo: degli altri Nobel non si sa nulla dopo appena qualche giorno dalla notizia; di quello ad Obama, invece, si parla e se ne parlerà per anni.
I commentatori si dividono in tre categorie: quelli contrari ad Obama e che vedono nel Nobel un atto di riguardo o di favoritismo oltre tutto ingiustificato per il fatto che il Premio non è stato dato per meriti realizzati; quelli che dicono che è un’investimento per il futuro, una sorta di incoraggiamento a percorrere la via del dialogo e della pace; e quelli che dicono che proprio perché è stato dato per “meriti futuri” il Premio non è stato un bel regalo. Ovviamente non ci occupiamo della prima categoria, ma delle altre due. È vero che Obama non ha nulla al suo attivo in termini concreti, però è vero anche che con la sua elezione ha creato un’atmosfera diversa.
Pensate al suo messaggio all’Iran, alla Corea del Nord, alla Russia e alla Cina: ha parlato di dialogo, di multilateralismo, di non proliferazione nucleare, di diritti di tutti, di non imposizione della forza nei rapporti tra gli Stati, ma della ricerca degli interessi comuni per assicurare a tutti stabilità, sviluppo e pace.
I Paesi sopraelencati non brillano certo per libertà, democrazia e/o per benessere. Ebbene, a loro è stata data un’opportunità che forse non avranno mai più: quella di dimostrare altrettanta buona volontà nel perseguire gli interessi della gente. Se sceglieranno strade diverse, la responsabilità dei loro atti ricadrà interamente su di loro, senza scuse e senza alibi.
D’altra parte, il messaggio di Obama ha già cominciato a dare i suoi frutti. Con la Cina ha aperto un canale a due, il G2, che persegue, seppure a parole, il sentiero aperto da Obama. Alla Russia il presidente Usa ha dato più che un segnale, ha rinunciato allo scudo spaziale difensivo per prevenire eventuali attacchi dall’Iran, e con tutti, in sede Onu, è riuscito a far approvare la risoluzione contro la proliferazione della armi nucleari. Per la pace, insomma, Obama in pochi mesi ha fatto tanto e pensiamo che molto altro farà.
Tuttavia, hanno una parte di ragione anche coloro che dicono che il Nobel non è un bel regalo, perché condiziona il Presidente e le sue scelte e alla lunga potrebbe anche nuocergli.
Già sul tema dei diritti civili – anche questa è una forma di pace – Obama si trova in difficoltà con la Cina, che certo non garantisce né libertà, né diritti e nemmeno benessere. Le prime difficoltà sono sorte già con il Dalai Lama: per non irritare la Cina, il Presidente non lo ha ricevuto, eppure il Dalai Lama persegue l’indipendenza e la pace. Ma stanno continuando anche con le fucilazioni, in Cina, dei rappresentanti delle minoranze che in un recente passato hanno manifestato e si sono ribellate al giogo cinese. Difficoltà stanno emergendo anche con l’Iran che ha proceduto ad impiccagioni pubbliche dei manifestanti che hanno protestato contro i brogli delle ultime elezioni di giugno.
Probabilmente l’Iran chiederà agli Usa di non ingerirsi negli affari iraniani se vuole che il suo messaggio trovi accoglienza. Insomma, c’è il rischio concreto che per onorare il Nobel Obama debba sacrificare atti anche energici per mantenere la pace, ma così facendo sarà messo comunque in difficoltà. Insomma, il Nobel “preventivo”, comunque agisca il Presidente, rischia di ritorcersi contro di lui, che deve averlo subito capito quando, non appena lo ha ricevuto, ha dichiarato che non era sicuro di meritarselo.
E veniamo all’accusa lanciata dal Times di Londra contro l’Italia, un’accusa rinviata al mittente dal ministro della Difesa (“spazzatura”) e da quello degli Esteri (“notizie false e offensive”).
Ha protestato anche l’ex ministro della Difesa, Arturo Parisi, perché nei primi mesi del 2008 era lui il titolare della Difesa, quando un reparto di militari italiani si era insediato nella base di Surobi, 65 km a est di Kabul, dove i capi talebani, secondo il Times, sarebbero stati pagati per lasciare in pace gli italiani. Contro il Times è intervenuto anche Francesco Rutelli, presidente del Copasir, che controlla i servizi segreti, per dire che il Times scambia per tangenti gli “aiuti alla popolazione” per creare “un rapporto migliore” perché non si “schieri con i talebani”. Soldi dunque alla povera gente, non ai talebani, che è cosa ben diversa.
Palazzo Chigi sta valutando l’opportunità di querelare i giornalisti del quotidiano inglese responsabili delle “notizie false”.
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