L’uomo fece la confidenza ad un sacerdote che un paio di anni fa l’ha rivelata ad un amico, che ha avvertito la polizia
In Italia può capitare anche di commettere un omicidio, di confessarlo, seppure dopo tanti anni, e di essere liberi. Le larghe maglie della rete della giustizia e la capacità interpretativa dei giudici possono operare il miracolo.
Correva l’anno 1990. Giulio Cesare Morrone era sposato con Teresa, avevano due figli piccoli. Tra di loro le cose non filavano bene, il ménage era caratterizzato da litigi, botte e stupefacenti. Difficile attribuire le colpe, dunque non sarebbe corretto neppure provarci, ma non è azzardato ipotizzare che si trovassero tutte dalla parte di Teresa. Una mattina, dunque, mentre la figlia era dai nonni e il figlio aspettava in macchina per essere accompagnato a scuola, Teresa e Giulio Cesare litigano, quest’ultimo le tira un pugno, le mette le mani al collo e la uccide. Corre dal figlio che aspettava in macchina, lo accompagna a scuola, ritorna, prende il corpo di Teresa, lo mette in una cesta di vimini e lo porta nel ferrarese, a Bondeno, e lo getta in un canale. Il corpo della donna non è stato mai più ritrovato. A chi gli chiedeva dove stava Teresa, Giulio Cesare risponde che se n’era andata di casa. Passano sette mesi ed è la sorella Maria Pia che denuncia la scomparsa di Teresa, ma non viene fatto nulla, le forze dell’ordine probabilmente inseriscono il nome nella lista delle persone scomparse, ma nessuno svolge indagini.
Passano i mesi e alcuni anni e Giulio Cesare non dice nulla a nessuno, vive tra casa e lavoro. Le cronache non lo dicono, ma sarà certamente una brava persona che tira su i figli, si può intuire che i litigi tra lui e la sua defunta moglie fossero dovuti all’uso di sostanze stupefacenti da parte di lei e che lui fosse esasperato. Un accecamento di ragione può capitare a tutti, senza che per questo si possa e si debba essere un assassino,
Il fatto, però, che abbia ucciso una persona e in particolare sua moglie non è facile da digerire. Giulio Cesare, piccolo imprenditore di Pescara, inizia un percorso di avvicinamento alla fede e, parlando con un sacerdote suo amico, don Peppino Femminella, gli fa questa confidenza. Non era una confessione, per cui un sacerdote è tenuto al segreto confessionale, era una confidenza, che il sacerdote tiene per sé per molti anni, fino a quando, un paio di anni fa, non la racconta a sua volta ad un amico commercialista. Le cronache narrano che il commercialista, parente dell’allora capo della Squadra Mobile e dell’attuale vice capo, di fronte ad una notizia del genere, la rivela al parente poliziotto, il quale prima interroga il sacerdote, che ammette il fatto, poi interroga Giulio Cesare, che, alla fine, dichiara: “Sì, l’ho uccisa io. L’ho colpita e poi l’ho strangolata”. Siamo nel 2012, 22 anni dopo il fatto. Qualche tempo dopo, cambia versione correggendo quella precedente: “No, non l’ho strangolata, l’ho solo colpita”. Fatto sta che il sacerdote gli manda una lettera in cui scrive ciò che ha rivelato al commercialista, e cioè: “Ho detto al commercialista che durante una lite molto accesa tra voi due dopo averla colpita violentemente, le hai messo le mani al collo. Preciso che non ho mai usato il termine strangolamento”.
La testimonianza è stata provvidenziale per Giulio Cesare Morrone. Secondo l’articolo 157 del Codice penale la prescrizione non avviene per quei reati che prevedono l’ergastolo, ma la massima pena viene data quando si è in presenza di “aggravanti”, tra cui i futili motivi. Insomma, senza l’aggravante per futili motivi che, appunto, danno diritto all’ergastolo, l’omicidio, specie se preterintenzionale, si prescrive dopo venti anni, per cui Giulio Cesare è tornato libero.
Le sorelle di Teresa hanno dichiarato: “Ha studiato tutto nei minimi dettagli. Ha fatto uscire la verità quando sapeva che lui non sarebbe stato punito. Si dice un benedettino, ora, ma lui è un diavolo. Ha vinto lui, è libero, si è goduto la vita”.
I giudici hanno applicato la legge o l’hanno interpretata a favore di Giulio Cesare? Difficile dirlo. Dopo ventidue anni una persona, dice Veronesi, non è comunque la stessa persona di prima. Sicuramente Giulio Cesare non è stato un cuor di leone non andando a denunciare l’incidente, ma nemmeno, par di capire, è un assassino. Forse sono i giudici ad essere stati intelligenti, ma a volte, specie quando per altri delitti si sono usati criteri diversi, è difficile seguire i meccanismi logici, giuridici e razionali della giustizia.