Man mano che i periti nominati dal giudice fanno progressi nelle loro indagini, Alberto Stasi, il giovane ex fidanzato di Chiara Poggi, uccisa la mattina del 13 agosto del 2007, tira un sospiro di sollievo e vede avvicinarsi il giorno in cui per lui finirà l’incubo che dura da più di due anni.
Già, perché ogni volta che i periti si pronunciano su un singolo aspetto dell’indagine e su un singolo indizio che l’accusa gli ha addebitato, è una mazzata per il pubblico ministero. Ormai, tutto lascia immaginare che sarà una sentenza di assoluzione con formula piena.
Ecco in sintesi gli ultimi sviluppi.
Per l’accusa il biondino di Garlasco, fidanzato della povera Chiara, è sempre stato un imputato perfetto: la voce glaciale quando scoprì la ragazza piena di sangue, i dubbi su tutto ciò che aveva detto di aver fatto quella mattina (lavoro al computer, l’assenza di sangue sotto le sue scarpe dopo essere stato sul luogo del delitto, il luogo dove si trovava quando ha avvertito il 118 e i carabinieri della caserma, nessun altro sospetto, la scoperta che aveva visitato un sito pornografico, ed altro ancora).
Lui, da parte sua, ha sempre sostenuto di essere innocente e di aver lavorato per tutta la mattinata al computer per la sua tesi di laurea, di essere andato dalla fidanzata verso l’una e tre quarti, di averla trovata immobile in un lago di sangue, di aver avvertito il 118 e di essersi recato alla caserma dei carabinieri. Solo che i Ris non hanno trovato le tracce del suo lavoro al computer, hanno ritenuto che le macchie di sangue non potevano non essere calpestate mentre le sue scarpe erano pulite e che comunque il computer era portatile, dunque poteva benissimo aver lavorato a casa di Chiara, averla ammazzata ed aver fatto sparire le tracce.
Per due anni Alberto Stasi è stato il mostro di Garlasco, ormai avviato verso la condanna.
Tuttavia, da innocente quale si considerava, in primavera chiese il giudizio abbreviato, quello che valuta le prove fino ad allora raccolte e che, in caso di condanna, prevede uno sconto di pena di un terzo. L’accusa grida allora alla vittoria, ritiene la scelta un’accettazione della condanna e un tentativo di evitare l’ergastolo. La sentenza doveva essere pronunciata entro il 30 aprile, ma il giudice, per vederci chiaro negli indizi raccolti, nomina una commissione di esperti a cui affida i chiarimenti sui vari punti sopra elencati.
Ed è il lavoro di questa commissione che sembra scagionare Stasi. Alla fine di agosto si scoprono le tracce al computer, tracce che i carabinieri del Ris avevano inavvertitamente cancellato due anni prima, dopo aver sequestrato il pc. Viene fuori che Alberto aveva detto la verità quando aveva dichiarato che quella mattina aveva lavorato a casa sua alla tesi di laurea fino a mezzogiorno e mezzo.
L’avvocato della famiglia Poggi, agli inizi di settembre, fa un video in cui dimostra che in 9 minuti Alberto avrebbe potuto entrare a casa di Chiara, discutere animatamente con lei e poi ammazzarla, lavarsi e ritornare in bici a casa sua. In realtà, il video, che doveva essere presentato alla ripresa del processo è un boomerang, perché ognuno si rende conto che fare tutte quelle cose in 9 minuti è impossibile in condizioni normali. Poi, i periti della commissione nominata dal giudice scoprono che l’ora del delitto non è tra le 9 e 35 (ora in cui l’allarme di casa Poggi è stato disattivato) e le 12 e 30 con maggiore possibilità tra le 11 e le 11 e 30, ma tra le sette e le 12 e 30 e che al momento in cui Alberto Stasi entrò in casa le macchie di sangue erano già asciutte. Il che spiegava perché sotto le sue scarpe non c’erano tracce di sangue.
Nei giorni scorsi i periti hanno scoperto che Alberto aveva detto la verità anche sui suoi spostamenti dopo aver trovato il cadavere della fidanzata, e questa è una prova inconfutabile. Ecco quello che affermava l’accusa: “L’imputato è andato nella villetta solo per uccidere e non vi è più tornato. Quando ha chiamato il 118, lui era già in caserma e non davanti a casa Poggi come lui sostiene”. Ecco quello che hanno scoperto i periti: “Il giorno 13 agosto 2007, alle ore 13.50:24, quando il cellulare di Stasi ha chiamato il servizio di emergenza del 118, esso ha agganciato la cella Pv47d2 che si trova in prossimità di casa Poggi. Lo stesso cellulare, di lì a pochi minuti, aggancia la cella Pv4702 che si trova all’altezza della caserma dei carabinieri di via Dorno”. In poche parole, Alberto ha raccontato ciò che effettivamente aveva visto e ciò che aveva fatto: le celle telefoniche, sparse nei diversi punti della rete, lo certificano elettronicamente e senza possibilità di sbaglio.
La commissione sta smontando scientificamente una per una le presunte prove dell’accusa, per cui è chiaro che per il giovane, che nel frattempo si è laureato alla Bocconi, si chiudono le porte del carcere e si aprono quelle dell’innocenza e della libertà. Manca ormai solo la sentenza materiale, ma la sostanza è quella.
Resta da domandarsi chi è l’assassino. L’indagine è tutta da rifare. Secondo i criminologi, bisogna indagare nelle conoscenze della ragazza. L’assassino potrebbe essere un nuovo spasimante respinto, incontrato nel treno da Garlasco a Milano, ma con il pm che ha condotto l’indagine finora l’assassino probabilmente potrà dormire sonni tranquilli.
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