Accolgo a Roma, in parlamento, un gruppo di amici tedeschi in visita di lavoro nella capitale. Li vedo ammirati e sorpresi da tanto splendore. Lo struscio del transatlantico, il luogo dei passi perduti, ove, tra lo stupore e la curiosità, assistono al borbottio dei deputati riuniti in capannelli, tanto divisi dalla politica , quanto uniti dalle tradizioni bizantine antiche della politica italiana. E poi quelle comode poltrone di un marrone accattivante, da salotto amico, ove è pur facile abbandonarsi fingendo la lettura di importanti documenti, indotti, in realtà, ad un semi pisolino tra una palpebra e l’altra che si abbassano e si schiudono come le imponenti paratie del Mose ( Perché non Mosè ? ) veneziano. Eretto a Venezia per respingere l’acqua alta che sale dall’ Ionio per invadere piazza San Marco a creare una scenografia da fiaba; il Mose del parlamento ( la palpebra amica ) accompagna l’incombente desiderio di una salutare pennichella forse causata dalle libagioni notturne nei bistrot di quella terra proibita tra il Pantheon e palazzo Chigi. Li accompagno ai piani superiori per osservare dall’alto il magico circo della democrazia italiana.
Il tema del dibattito, oggi : finanziamento delle missioni internazionali. È in atto il filibustering ( ostruzionismo ) del movimento 5 stelle e della sinistra radicale contro il decreto legge di autorizzazione. Si parla di tutto e di più. Interventi di un minuto. Figuratevi la lucidità della sintesi per rappresentanti abituati a parlare ore sul nulla secondo i dettami “Talk Show” della cultura berlusconiana dell’ultimo ventennio. Cultura che ha invaso, purtroppo e devastandolo, anche il campo della sinistra storicamente legata alla nobiltà del ragionamento puntiglioso e razionale. Tant’è. Li vedo divertiti, i miei ospiti. E data l’amicizia, mi risparmiano le maligne battutacce in lingua teutonica che, oltretutto, leggo nei loro occhi. La giornata si conclude con un invito a cena. Ricambio e ricordo l’ospitalità con cui fui accolto nella Berlino splendente di luci e colori dei giorni della natività di un anno che fu. Dal primo pomeriggio le agenzie battono all’unisono su un chiodo fisso: la commissione europea, tra lo stupore della politica berlinese e la gioia, mal nascosta, del resto d’Europa, ha lanciato una procedura senza precedenti contro la Germania.
In breve: esporta troppo e consuma poco al suo interno. E con ciò mette a rischio l’economia delle altre nazioni europee. Una gigantesca panzana. Figuratevi lo stupore dei miei commensali. I loro sguardi, in cui leggi: sorpresa, smarrimento e indignazione. Per la verità, la commissione europea era stata preceduta, nel caso, dal tesoro americano con la partecipazione attiva del presidente Obama. Da che pulpito viene la predica, dopo il crac della Lehman Brothers e associati, le micce esplosive della più grave crisi economica e sociale mondiale dal 1929 ad oggi. Capirò poco di economia. O, come usava affermare il presidente François Mitterrand: l’economia è nulla se priva del soffio della storia. E tuttavia, quando mi tocca di viaggiare nella terra dei germani, di visitare le loro città, le vedo splendenti di ogni ben di Dio. Dalle metropolitane cittadine al parco macchine, dagli alberghi ai negozi, dagli aeroporti ai musei, ai ristoranti, senza dimenticare gli annuali milioni di vacanzieri in viaggio verso i caldi lidi della nostra penisola, e tanto altro ancora, ci si rende conto che quella grande nazione vive una sua meritata serenità, un indubbio progresso sociale e umano.
Ha vinto la scommessa dell’unità ritrovata riscattando una parte del suo popolo dall’oppressione del totalitarismo conseguenza della sanguinaria avventura nazista.. Ha tratto le lezioni dalla storia del novecento. È divenuta un modello compiuto di democrazia federale. Difende e valorizza le autonomie dei suoi tanti popoli. È il fondamentale pilastro su cui costruire l’unità europea in grado di reggere la sfida globale. È, in fondo, quello che vorremmo essere e non siamo. Forse, ma è quasi una certezza, è solamente tanta invidia per quel popolo che pensavamo sconfitto e umiliato dal suo non molto lontano, inglorioso e terribile (la Shoah!) passato. Ma è pur sempre il popolo dei suoi grandi di ogni tempo. Quelli che hanno fatto la storia dell’umanità. Immanuel Kant, Karl Marx, Rosa Luxemburg, Ludwig van Beethoven, Wolfgang Goethe, il genio di Ulma: Albert Einstein. E quanti ancora. Un mio carissimo Zio, Renzo, fu internato a Mauthausen. I fratelli Farina, mio padre compreso, sono stati combattenti della libertà contro il nazifascismo. Hanno contribuito, assieme a tanti, a sconfiggere il sanguinario totalitarismo della Germania e dell’Italia di allora. Devo molto a loro. Un semplice grazie per quanto mi hanno insegnato. Ed è proprio con i loro valori che posso oggi tenere aperti gli occhi per vedere il buono che viene da ognuno. Saluto gli ospiti al termine della tiepida serata autunnale romana nelle vicinanze del Pantheon dell’ Urbe eterna. Arrivederci, amici miei. Non serbo invidia o rancore.
Buona notte, Germania.