La Commissione europea giudica “insufficiente” la legge di Stabilità e chiede riduzione del debito e tagli alla spesa pubblica
Sul governo Letta si sta addensando una nuvola nera, qualche nuvoletta e un’estesa schiarita: è questa l’immagine più appropriata per descrivere la fase politica attuale.
La nuvola nera è rappresentata dalla sostanziale bocciatura dell’Europa della legge di Stabilità. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni minimizza, ma il giudizio della Commissione europea è stata una doccia fredda. Il guaio dell’Italia è di avere un debito che raggiunge quota 133% e tutti i parametri dell’economia che sono sotto sopra. In queste condizioni è comprensibile che si voglia diffondere ottimismo, ma la realtà è che gli esperti dicono che non ci sarà crescita ancora per un altro paio di anni e che la crisi rischia di trasformarsi da economica a sociale, con proteste e rivolte incontrollabili (vedasi la Francia). La ricetta sarebbe la riduzione del debito e il taglio effettivo e chirurgico della spesa pubblica, perché – e l’abbiamo visto nella recente pubblicazione degli stipendi d’oro di dirigenti pubblici, manager e amministrazione pubblica (magistratura, ministeri, società partecipate) – altrimenti ci si avvita in un vortice pericoloso, aggravato dal fatto che riforme vere – a parte quella delle pensioni, peraltro per alcuni versi troppo dura, per altri squilibrata – non ne sono state fatte. L’Italia, insomma, senza un’inversione di tendenza vera, rischia di sprofondare. Ecco, questa è la nuvola nera, che non sarà possibile diradare nell’immediato ma contro la quale si dovrà cambiare rotta e da subito. Saccomanni ha dichiarato che non ci sarà un’altra manovra, ma quando si comincia a mettere le mani avanti, si avverte puzza di bruciato. Senza una politica che aggredisca per davvero gli sprechi che si annidano nei tanti e nascosti privilegi non ci se ne esce. Lo dice Daniel Gros, a capo del think tank del Ceps: “Il problema numero uno è la spesa pubblica”.
Attorno a questa nuvola nera ci sono altre nuvolette, dicevamo. La prima è rappresentata dal trauma che ha investito Scelta civica di Mario Monti. C’è stata la scissione dei popolari e dell’Udc, forti di 12 senatori e 15-20 deputati (popolari e Udc). Ebbene, Scelta civica di Monti si è ritrovata di colpo senza rappresentanza al governo, visto che il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha fondato i “popolari” e il Sottosegretario Giampiero D’Alia se ne è andato con l’Udc. E’ vero che c’è il ministro Moavero, ma questi si occupa degli Affari europei. Insomma, Scelta civica rivendica “una voce nel Consiglio dei ministri”, come dice Linda Lanzillotta e come incalza Stefania Giannini, neo segretaria di scelta civica, che puntualizza: “Dovrà essere rivista la nostra rappresentanza nel governo: se un ministro rappresenta un’altra forza politica, dovremo occuparcene”. Le ribatte Giampiero D’Alia: “L’epoca del manuale Cencelli è finita”. Come per dire che non se ne parla nemmeno di ridistribuire gl’incarichi.
Abbiamo parlato di “nuvoletta”, perché ai popolari di Mauro e all’Udc di Casini sta bene così e Monti, pur avendo i numeri per farlo, sicuramente non darà problemi al governo. L’altra nuvoletta è rappresentata dalle richieste di dimissioni della ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri, presentate dal M5S e che si discuteranno il 21. Nel frattempo, sono emerse altre telefonate fatte dalla ministra e dal marito ad Antonino Ligresti. Al momento non si conosce bene la materia, ma pare che la magistratura stia per iscriverla nel registro degli indagati. Di per sé l’argomento non ha nulla di penale, ma in seno al Pd, soprattutto dopo che Renzi ha dichiarato che al suo posto lui si sarebbe dimesso, crescono le pressioni sull’opportunità che la ministra si dimetta spontaneamente. Se il governo perderà un pezzo, probabilmente esso sarà rimpiazzato da un esponente di Scelta civica e i conti tornano, altrimenti tutto resterà come adesso.
E passiamo all’ampia schiarita, a cui concorrono tre fattori. Il primo sono i numeri. Con il nuovo centrodestra di Alfano il governo Letta ha una maggioranza più ristretta, ma più compatta. Alla Camera non ci sono problemi, al Senato la nuova maggioranza può contare su 169 voti (magari in aumento, se altri abbandoneranno Forza Italia) su 320 senatori, compresi quelli a vita, un margine non eccessivo ma rassicurante. Forza Italia e i falchi dell’ex Pdl – e siamo al secondo fattore – non hanno più potere condizionante, dunque non sono possibili più né trappole e né compromessi defatiganti. Certo, il compito di Alfano si fa difficile, perché se non vuole rimanere schiacciato ed esporsi alle critiche di Forza Italia deve essere propositivo e incisivo e al tempo stesso deve dimostrare di non essere succube del Pd. Se sosterrà la linea dell’abbassamento delle tasse e del taglio alla spesa pubblica e contribuirà a fare cose buone, oltre a togliere terreno a Forza Italia, al momento opportuno raccoglierà i frutti e potrà aspirare alla guida del centrodestra, altrimenti fallirà. In ogni caso la strada del governo è spianata, almeno fino al 2015, quando dovrebbero essere state approvate le riforme costituzionali ed elettorali. Il terzo fattore è Renzi, che diventerà sicuramente segretario del Pd, ma, come gli ha ricordato D’Alema, si accorgerà che avrà l’apparato contro e dunque non potrà fare quello che vuole. Soprattutto ora che Forza Italia non potrà far cadere il governo, non potrà permetterselo lui, altrimenti il Pd gli scoppierà in mano. Dovendo dunque in forza della responsabilità politica essere meno movimentista, rischia a quel punto di farsi logorare lui e di perdere quella carica innovativa che si è conquistata.
Letta, dunque, è più forte e può stare tranquillo, sempre a condizione che riesca ad operare bene.