Il sindaco di Firenze vince tra gli iscritti con il 45,3% e affronterà le primarie con la vittoria sicura in tasca. D’Alema lancia Cuperlo che balza al 39,4%, Civati si ferma al 9,4%. Fuori corsa Gianni Pittella con il 6%
Alla fine, tra gl’iscritti del Pd vince Matteo Renzi con il 45,3%. Cuperlo, dato in partenza al 5%, conquista il 30,4%, mentre Pippo Civati si ferma al 9,4%. Gianni Pittella è fuori corsa con un magro 6%.
Quella di Renzi è stata sicuramente una prova superata: è riuscito a far breccia nell’apparato, che l’anno scorso era tutto per Bersani ed a appena un anno di distanza sembra rassegnato ad accettare Renzi, un marziano. Probabilmente Renzi alle primarie, aperte agli elettori, spingerà la sua vittoria oltre il 50%, se non addirittura verso il 60%. Sarà eletto segretario ma da allora in poi avrà la vita difficile nel Pd e bisognerà vedere se e come reggerà.
L’interrogativo non è campato in aria. Matteo Renzi è uno che ha la battuta facile, la lingua pungente. Rapido nel fronteggiare le situazioni e gli avversari, sembra piuttosto un abile e intelligente giocoliere che un leader dalle idee solide e un timoniere dalla navigazione sicura. Secondo la definizione di D’Alema, “Renzi divide, non unisce. Se parti con l’idea di rompere tutto, poi qualcosa si rompe per davvero”. Come sarà da segretario? E’ certo che smania per saltare a piè pari dalla segreteria del Pd alla presidenza del Consiglio. In questo modo, malgrado le assicurazioni verbali in senso contrario, darà filo da torcere a Letta. D’altra parte, che si muova con troppa agilità, lo ha dimostrato sul caso Cancellieri. Dopo il primo salvataggio in Parlamento, Renzi ha detto pubblicamente a Letta che lui al suo posto non l’avrebbe difesa, che la ministra avrebbe dovuto fare un passo indietro. Poi, quando si arriva alla mozione di sfiducia, con una piroetta da far invidia a un acrobata, dichiara che non avrebbe votato con Grillo e, pur tra i mugugni dei suoi, contribuisce a legittimare Annamaria Cancellieri, salvo poi, a risultato ottenuto, fare dichiarazioni critiche sia sul governo che sulla ministra. La realtà è che è intervenuto Napolitano e Renzi ha abbozzato, ma anche qui il solito spartito: ha alzato la voce sulla ministra per oscurare il suo contributo al voto favorevole. Insomma, una tattica efficace, ma dal corto respiro. Lo stesso si può dire sul governo. Renzi ha assistito alle vicende della scissione nel Pdl e si è tenuto in disparte. Avrebbe voluto sicuramente che le cose andassero diversamente, cioè che la scissione non ci fosse stata, che Berlusconi avesse tenuto sulle sue posizioni tutto il partito e che avesse suonato la carica al governo che, appunto, sotto l’incalzare delle richieste dell’ex premier sarebbe stato costretto a dimettersi. A questo punto, lui, Matteo Renzi, vinto il congresso ed eletto segretario, avrebbe spinto per le elezioni anticipate e sarebbe stato il naturale candidato premier, non essendoci il tempo per organizzare le primarie. Anche qui, una tattica intelligente, ma gli è andata male, gli avvenimenti non lo hanno favorito.
Renzi, dunque, marcia speditamente verso la vittoria – e sul suo carro di vincitore stanno saltando anche alcuni di coloro che lui voleva rottamare e comunque senza badare ai colpi bassi, come nel caso di Salerno – ma poi bisognerà vedere in primo luogo cosa sarà davvero capace di fare e in secondo luogo se il Pd – il corpo ma anche l’anima del partito – lo seguirà nei suoi continui guizzi acrobatici e dialettici.
Gianni Cuperlo è un personaggio agli antipodi di Renzi. Intellettuale, riflessivo, ancorato alla tradizione di sinistra, ultimo segretario della Fgci, ha tutta l’aria di uno che in ogni caso – al di là di come andrà a finire la vicenda congressuale – avrà un futuro nella sinistra. In tutti questi anni, non ha ricoperto incarichi di prestigio, per cui non era noto, come dire, al grosso pubblico. E’ stato lanciato in questa corsa da Massimo D’Alema, del quale si può dire che è antipatico, che è un manovratore, che è un uomo di partito, ma del quale non si possono disconoscere né l’intelligenza, né la passione, né, appunto, la personificazione dell’anima di sinistra. Da comunista di stretta osservanza ha saputo raggiungere posizioni socialdemocratiche e liberali, e questa conversione è opera del tempo, degli avvenimenti ma anche della sua passione politica, da lui stesso confessata ultimamente quando ha detto che “ama la lotta politica”, nel senso che gli piace e sa fare politica con le armi dell’intelligenza, della passione e anche dell’ambizione, cosa legittima e normale in chi fa politica. Ebbene, D’Alema, con tutti i suoi difetti caratteriali, incarna una visione politica e di appartenenza chiara: il partito è il luogo del dibattito e dell’organizzazione del consenso, il segretario rappresenta la coralità degli interessi del popolo di sinistra, non può essere un “one man show”, come vorrebbe Renzi. Aprirsi sì, ma non snaturare il partito, parlare agli italiani, ma non allontanarsi dall’anima del popolo di sinistra, semmai attirando l’altra parte nello spazio della sinistra democratica.
Nel percorso congressuale si sono persi in tanti, ma D’Alema, bisogna riconoscerlo, ha giganteggiato nei confronti di Renzi, sia con la visione politica, sia con le armi del sarcasmo, sia, in definitiva, con una stazza politica più solida. Ecco, quando Renzi siederà sulla poltrona di segretario del Pd potrà anche continuare a fare il sindaco, potrà anche fare battute (“E’ solo un battutista”, disse Bersani) a destra e a manca, ma dovrà dimostrare se sarà capace di opporre un’altra visione che sia altrettanto valida, altrimenti il tonfo sarà pesante.