Il premier Shinzo Abe vuole modificare la Costituzione per dotare il suo Paese di un esercito regolare di difesa ma anche di attacco e le provocazioni cinesi gli danno una mano
Il viaggio del vice presidente americano, Joe Biden, nell’Estremo Oriente è stato di basso profilo, al punto che ha scontentato non la Cina, ma gli alleati tradizionali degli Usa, Giappone e Corea del Sud.
Gli antefatti. Nelle ultime settimane la Cina, unilateralmente, ha imposto una zona aerea di difesa e di identificazione vasta mille miglia quadrate. Il fatto è che lo spazio di questa zona – grande come la California – copre anche l’arcipelago di Senkaku, amministrate dal Giappone, che ha gridato alla provocazione. Da Okinawa, di cui fanno parte le isole Senkaku e dove si trova dal dopoguerra il quartier generale degli americani, si alzarono in volo due bombardieri americani B-12 ma, malgrado le minacce cinesi, non sono stati disturbati. La stessa cosa l’hanno fatta i sudcoreani, che posseggono Socotra, una roccia da loro controllata e che rientra nella zona cinese di “identificazione”, e i giapponesi. Successivamente, però, la Cina ha vietato i voli a meno che gli aerei non si lascino identificare.
Ecco, questa era la situazione alla vigilia del viaggio di Biden, preparato ben prima dello scoppio della crisi. A Tokyo, il vice presidente Usa e il primo ministro giapponese Shinzo Abe si sono incontrati, ma Biden non si è sbilanciato molto. Ha detto: “L’Adiz (la zona aerea di difesa e identificazione) cinese è un tentativo di cambiare unilateralmente lo status quo nel Mar Cinese orientale che potrebbe generare incidenti”. Dopo di che, nulla più. Il premier giapponese si aspettava che ci fosse una dichiarazione congiunta di condanna della “provocazione” cinese, ma questa condanna non c’è stata. Evidentemente la spiegazione è che nei giorni successivi Biden avrebbe incontrato proprio Xi Jinping, il presidente cinese che aveva fatto diramare un comunicato in cui s’invocava la normalità della “zona aerea di difesa” “sulla base delle leggi internazionali”.
A Pechino, l’atteggiamento di Biden non ha smentito le parole dette a Tokyo. In sostanza ha auspicato che ci sia comprensione tra le parti e che la vicenda sia risolta diplomaticamente, ma nulla di più, anche perché gli Usa non vogliono entrare in questioni che non li riguardano direttamente. Fatto sta che la delusione giapponese non è stata tenuta nascosta.
Il premier Shinzo Abe c’è rimasto male dell’atteggiamento dell’alleato, ma è deciso a continuare a percorrere una strada tutta in salita ma obbligata dopo la “provocazione” cinese. In base agli avvenimenti della seconda guerra mondiale, agli accordi di pace con gli alleati e in modo particolare alla presa di distanza dalle responsabilità dell’alleanza con i nazi-fascisti, i giapponesi elaborarono una Costituzione che vietava (e vieta) al Giappone di dotarsi di un esercito regolare (articolo 9), dovendosi accontentare solo di possedere una forza di difesa.
Ebbene, il premier Abe da tempo sta cercando di modificare la Costituzione introducendo la formazione di un esercito a scopo difensivo ed offensivo. La “provocazione” cinese gli offre materia sufficiente per operare questo cambiamento costituzionale. Finora nessuno c’è riuscito. Il Giappone, per le questioni di politica internazionale, deve appoggiarsi sugli alleati, ma se gli Usa non intervengono, allora, dice Abe, ci deve pensare il Giappone. Ognuno può immaginare che le quotazioni nazionaliste tornino a salire, anche se non è sicuro che si arrivi ad un esercito regolare offensivo, oltre che difensivo, come è adesso.
Ma nessuno può negare un altro aspetto della questione. Gli Usa hanno spostato i loro interessi economici e strategici dall’Europa, dal Medio Oriente e dall’Asia centrale (Afghanistan) al Pacifico, ma se la loro politica è di accondiscendenza verso Pechino, allora la Casa Bianca rischia di scontentare tutti gli alleati e di lasciare vuoti, a risentire dei quali sarebbero appunto il Giappone e la Corea del Sud, costretti a subire le mire espansioniste sia della Cina che della Corea del Nord. E’ questo il vero rischio che corre l’America e che viene fatto correre al Giappone e alla Corea del Sud, lasciati soli, di fatto, contro il colosso cinese.
Ma se sarà così, gli Usa ne pagheranno le conseguenze già nel futuro più immediato.