Il provvedimento approvato in Consiglio dei ministri sotto la spinta di Renzi, ma è gara tra capo del governo e segretario del Pd a chi fa le cose concrete
Con un decreto legge, che mostra la volontà e la decisione di Letta di voler fare presto, il governo ha abolito i rimborsi elettorali ai partiti. Come mai questa fretta? Le opinioni sono diverse. C’è innanzitutto quella dello stesso capo del governo, che ha detto che non ha fatto altro che mantenere l’impegno preso in Parlamento in occasione della fiducia di voler dare un segnale e di volerlo realizzare “entro la fine dell’anno”. Il disegno di legge, infatti, fu approvato alla fine di aprile, ma suscitò subito delle polemiche, perché lo mandava via dalla porta e lo faceva rientrare dalla finestra. Introduceva, infatti, il 2xmille, solo che chi non operava la scelta a favore di un partito, al suo posto lo faceva lo Stato ripartendo i contributi. Quel disegno di legge, infatti, è rimasto fermo al Senato dopo l’approvazione alla Camera in ottobre. Siccome al 31 di dicembre mancano meno di due settimane, per mantenere l’impegno aveva solo una strada: quella di approvare il testo in Consiglio di ministri per decreto legge, così il provvedimento entra in vigore già dall’anno prossimo.
C’è poi l’opinione di tanti altri, che dicono che il decreto legge di Letta si spiega con la decisione di Renzi che da tempo, e in maniera più perentoria negli ultimi giorni dopo la sua elezione a segretario del Pd, su questo e su altri temi aveva incalzato il governo. Insomma, la fretta di Letta sarebbe un fatto di concorrenza a mostrare chi è più rapido nel fare le cose. Questa seconda interpretazione, la più vicina al vero, fa capire che tra Letta e Renzi si è aperta una fase di concorrenza: ognuno dei due vuole mostrare di essere più bravo dell’altro e garantirsi il favore dell’elettorato del Pd allorquando ci sarà la candidatura per la scelta del candidato premier, nel 2015, quando ci dovrebbero essere le elezioni anticipate.
Questa interpretazione, in fondo, non è per nulla negativa. Trattandosi di una concorrenza a chi fa di più e subito, si aprirebbe una prospettiva di concretezza che finora è mancata al governo, da molte parti, anche da settori dello stesso Pd, giudicato non incisivo né nel campo delle riforme, né in quello dell’economia. Ciò detto, bisogna precisare alcuni aspetti della questione. Il provvedimento che abolisce i rimborsi ai partiti, così come è scritto, non li abolisce subito, ma progressivamente (taglio del 25% nel 2014, del 50% nel 2015, del 75% nel 2016 e del 100% nel 2017). La totale abolizione scatterebbe, dunque, solo nel 2017, e gli scettici fanno capire che nel frattempo molte cose potrebbero succedere, ammesso che nella discussione parlamentare non si addolcisca la pillola. Gli scettici, infatti, ricordano che nel 1993 con un referendum presentato dai radicali fu approvata l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti con il 90% del consenso popolare, ma poi ci fu una legge che cambiò solo le parole: da finanziamento si passò ai rimborsi elettorali, ma la sostanza, i soldi pubblici ai partiti, non cambiò.
Come faranno i partiti a finanziarsi? La legge prevede i contributi privati certificati e deducibili dalle tasse e la destinazione volontaria del 2×1000 della dichiarazione dei redditi al partito scelto dal contribuente, né più né meno come si fa ora con le Chiese (8×1000) o con le associazioni di volontariato (5×1000). Bisogna aggiungere due cose. La prima è che se il testo del decreto rimanesse così, sarebbe una buona legge, anche perché i partiti sarebbero obbligati a pubblicare in rete i bilanci e i nominativi dei contributori. La seconda è che i tesorieri dei partiti, Ugo Sposetti in primis, tesoriere di un partito che non esiste più, i Ds, ma anche Maurizio Bianconi del Pdl-Forza Italia, sono contrari all’abolizione. Dice Sposetti: “La mia idea è che la politica ha un costo”, quindi il finanziamento è un fatto di garanzia della democrazia. Gli stessi concetti li ripete Maurizio Bianconi, e tutti e due ammoniscono sul fatto che impiegati e giornali potrebbero subire se non un taglio drastico, quanto meno una grossa cura dimagrante.
Va, infine, detto che l’abolizione dei rimborsi elettorali è solo uno degli aspetti dei costi generali della politica e degli sprechi e dei privilegi delle caste. Per fare un esempio: non è possibile che un barbiere o un commesso o un cuoco alla Camera prendano stipendi a sei zeri. Il rischio, oltre tutto, è che la legge abolita dallo Stato per i partiti nazionali possa rientrare a livello regionale. Insomma, il segnale c’è ma bisogna dare un giudizio solo alla fine.
Il dibattito politico si è incentrato anche sulla legge elettorale, per ora solo sulla questione di metodo. Letta e Franceschini da una parte (Pd) e Quagliarielo e Schifani dall’altra (Ncd) puntano su un accordo che nasca nel perimetro della maggioranza. Se Renzi dice o Alfano accetta la mia proposta o io trovo un accordo con Grillo e Berlusconi, il Ncd non ci sta, ed è inutile insistere sul fatto che la legge elettorale non è materia di governo, ma del Parlamento. Su questo punto si rischia la rottura. Ha dichiarato Schifani (Corriere della Sera): “Mi sarei atteso che le prime parole di Renzi fossero dedicate al lavoro, alla lotta contro la disoccupazione, ai tagli alla spesa pubblica improduttiva, agli eccessi nella carcerazione preventiva. Noi punteremo su di essi. Ricordo che i nostri voti sono decisivi per tutti i provvedimenti del governo”.
Concludiamo con il giudizio di D’Alema sul personaggi Renzi: “In vita mia ho visto tante di quelle meteore…”. Cuperlo farà il presidente dell’assemblea nazionale del Pd, ma la sinistra, ferita dalla sconfitta, non sarà inattiva.