Giorgio Napolitano minaccia le dimissioni se i partiti dovessero continuare perpetuare un clima da sfascio tra di loro e a non fare le riforme
Entro la fine di gennaio dovrebbe esserci un “contratto di governo” tra le forze della maggioranza. In questi giorni, dopo la definizione della leadership del Pd, le forze politiche e i loro leader si studiano, anche per prendere le misure delle nuove coordinate. Protagonisti sono Napolitano, Letta, Renzi e Alfano. Finora è emerso che c’è urgenza di fare le riforme, a cominciare da una nuova legge elettorale, prima che la Corte Costituzionale pubblichi le motivazioni della bocciatura di due norme della legge attualmente in vigore. Senza una nuova legge, infatti, decaduta quella attuale, le istituzioni, soprattutto la Presidenza della Repubblica e l’Esecutivo, si troverebbero di fronte ad una grande ”impasse”: il presidente della Repubblica non potrebbe, all’occorrenza, sciogliere le Camere e il Parlamento potrebbe trovarsi nell’impossibilità di approvare una legge condivisa almeno dalla metà più uno dei membri del Parlamento o anche da una maggioranza relativa.
Sul “contratto di governo”, cioè sul programma da attuare nei prossimi 12-18 mesi – questa è la durata su cui ragionano le forze di maggioranza prima di nuove elezioni per chiedere agli elettori chi dovrà guidare l’Italia per un’intera legislatura – i titoli sono tanti, ma il difficile è di trovare l’accordo su cosa, quando e soprattutto su come. Non basta, ad esempio, dire che bisogna cambiare la legge sul mercato del lavoro, bisogna trovare l’accordo su come cambiarla, con quali altre norme. Su questo punto, prevedibilmente, lo scontro non sarà solo tra governo e sindacati, ma anche all’interno del Pd, che finora ha fatto quello che ha voluto la Cgil e che Renzi pare non sia più intenzionato a fare. Sulla stessa legge elettorale, a parte l’urgenza di approvarne una nuova, non ci sono ancora idee chiare. C’è chi vuole una legge modello elezioni dei sindaci (Alfano), chi vuole ritornare al cosiddetto Mattarellum e chi vuole una legge diversa da quella attuale, seppur migliorata, ma diversa anche dal Mattarellum. Dunque, questa che la politica sta vivendo è una fase di approccio alla questione e dunque di metodo.
Il presidente della Repubblica, nei giorni scorsi, ha ventilato la possibilità di dimettersi se le parti in causa – i partiti di maggioranza ma anche quelli di opposizione – dovessero continuare a mostrare irresponsabilità. Napolitano ce l’aveva con Berlusconi, perché quest’ultimo non perde occasioni per sollecitare le elezioni anticipate a maggio e per criticare la “faziosità” del presidente della Repubblica, accusato di “golpe” per aver organizzato la sua delegittimazione nel novembre del 2011, per non averlo difeso di fronte ad una condanna “ingiusta” (sentenza della Cassazione e decadenza dal Senato) e per aver fatto scelte di parte nella nomina dei senatori a vita. A giudizio di Napolitano, nessuno dovrebbe tirarsi indietro rispetto all’impegno nell’approvare una legge elettorale condivisa. Il presidente della Repubblica, però, ce l’aveva in particolare con Grillo, da cui viene spesso insultato e che vuole sottoporlo alla procedura dell’impeachment in quanto non vuole sciogliere le Camere dal leader pentastellato ritenute delegittimate – così come pure i suoi atti, compresa l’elezione del capo dello Stato – dalla sentenza della Corte costituzionale. Quanto a Renzi, Napolitano è contrariato, anche se non lo dice, dal fatto che il nuovo leader del Pd voglia rottamare la vecchia guardia del Pd stesso e voglia allearsi anche con le opposizioni pur di approvare in tempi rapidissimi la nuova legge elettorale, anche mettendosi contro singole formazioni che sostengono il governo se queste si mettono di traverso. Napolitano, in sostanza, dice: prima si trovi un accordo nella maggioranza, per salvare il quadro politico e poi si estenda l’accordo, se possibile, anche alle opposizioni. Renzi, invece, dice: tocca al Pd fare una proposta, se Alfano è d’accordo, bene, se non è d’accordo, pur di fare una buona legge velocemente e che salvaguardi il bipolarismo, sono disposto a fare accordi anche con Berlusconi e Grillo (i contatti bilaterali sono stati già allacciati). E’ chiara la rotta di collisione di questa strategia, anche perché, se Alfano non è d’accordo, significa che è obbligato a togliere la fiducia al governo.
Il recente botta e risposta tra Renzi e Alfano – moderatore Bruno Vespa – non solo sulla legge elettorale, ma anche sul finanziamento ai partiti, sul ruolo del Senato e sul mercato del lavoro, indica chiaramente che il “contratto di governo” non sarà una passeggiata, anche perché su alcuni temi, come l’abolizione dei rimborsi ai partiti e la riforma del mercato del lavoro, Renzi non deve guardarsi solo da Alfano, ma anche dal suo stesso partito e dalla Cgil. Susanna Camusso, infatti, di fronte al decisionismo e all’atteggiamento sbrigativo di Renzi nei confronti di temi importanti come il lavoro, ha tenuto a precisare che lo scontro con il sindacato sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è stato fatale non solo a Berlusconi quando, nel 2002, l’allora premier voleva derogare dall’applicazione dell’articolo 18 per i nuovi assunti, ma anche a D’Alema, che nel 1998 voleva fare la stessa cosa e dovette ritirarsi in buon ordine. Il messaggio è chiaro e Napolitano lo sa bene. Se Renzi vuole procedere come un toro in un negozio di oggetti di porcellana prescindendo dai rapporti con le altre forze politiche, specie se di maggioranza, rischia di rovinare i già difficili equilibri e di ritrovarsi con un pugno di mosche tra le mani. Che non è esattamente la soluzione migliore.