Il lavoro sulla biografia nelle case di cura
Ognuno di noi ha la propria storia, una storia importante da raccontare, per farsi conoscere e per farsi capire. Per chi lavora in una casa di cura che ospita emigranti è importante saper ascoltare questa storia e dargli valore. Considerare la biografia di una persona è una parte integrante fondamentale del processo di cura delle persone anziane bisognose di sostegno.
Raccontarsi è un’esigenza primordiale. La Storia umana, il racconto dell’evoluzione e dei cambiamenti, comincia solo quando gli uomini hanno cominciato a raccontarsi, a incidere nelle pareti delle caverne i disegni delle loro avventure e paure. Senza racconto non c’è Storia. Se non ci raccontiamo quasi non esistiamo. Molto più banalmente, pensando al nostro vivere quotidiano, raccontarsi è quasi per tutti noi un piacere, anche perché è lo strumento con cui affermiamo la nostra identità, riconosciamo i tratti fondamentali della nostra vita, del nostro essere e del nostro fare. Comunichiamo agli altri chi siamo raccontando cosa abbiamo fatto. Raccontarsi è terapeutico.
Per questo, da molti anni anni ormai, in molte case di cura, si lavora a partire dal concetto di „Biographiearbeit“. Il lavoro sulla Biografia è una sorta di strumento di intervento che pone l’accento sull’individualità di ciascuno, soprattutto per far sì che la persona non venga ridotta alla sua diagnosi, alla sua malattia, ma venga considerata in tutta la sua complessità di essere umano, risultato di un percorso che ha segnato ciascuno di noi in modo speciale, all’interno di particolari contesti sociali, culturali e formativi.
In questi anni si è approfondita la ricerca sul concetto di salute, e la ricerca ha segnalato fra l’altro quanto peso abbiano, nell’insorgenza di certi disturbi e patologie, le sollecitazioni che riceviamo dall’ambiente sociale e culturale in cui viviamo e il modo in cui riusciamo a rispondere, più o meno positivamente, a queste sollecitazioni, agli ostacoli e alle difficoltà che ci troviamo di fronte.
Se la nostra vita è un fiume che scorre – per usare una metafora del fondatore del concetto di „salutogenesi“ Aaron Antonovskj (1) -, con le sue correnti più o meno forti e le sue insenature, si tratta di capire non tanto cosa ci fa annegare, quanto cosa ci rende dei buoni nuotatori.
Lavorare sulla biografia di una persona che vive in una casa di cura va in parte anche in questa direzione: conoscere la sua storia, da quale contesto familiare e culturale viene, che lavoro ha fatto, quali difficoltà ha incontrato nella vita o quali interessi l’hanno resa felice, ci consente di sostenere la sua salute facendo leva sulle risorse che nella vita ha messo in campo per nuotare al meglio delle sue possibilità.
Lavorare in una casa di cura dove gli ospiti sono tutti emigranti rende tutto questo ancora più evidente. I racconti dell’emigrazione, con il loro carico di difficoltà, nostalgie, forza e lavoro, sono da un lato il racconto di una Storia che per un certo periodo, con modalità simili, ha riguardato un gran numero di persone, dall’altro sono il racconto di precise individualità che in modo molto personale hanno reagito alla piena (per restare nelle metafora del fiume) che a un certo punto ha trascinato altrove la loro vita.
Utilizzare lo strumento della Biographiearbeit in questo ambito ha sempre un duplice valore: riconoscere la forza di una memoria collettiva, di un patrimonio esistenziale collettivo e riattivare quelle risorse che individualmente ciascuno ha messo in campo per superare le difficoltà che si è trovato di fronte (una nuova lingua, una nuova cultura, altri usi e costumi, la lontananza dalla famiglia, il senso di isolamento, la fatica di ricostituire intorno a sé una rete sociale di supporto…).
Non è facile invecchiare in una casa di riposo, anche nella migliore. Lasciare la propria casa, dover cambiare improvvisamente abitudini, sentirsi un pò abbondonati dai figli, aver perso gli amici nel corso del tempo: in fondo per un emigrante che è rimasto in Svizzera ad invecchiare, lasciare la propria casa ed entrare in una casa di cura, vuol dire emigrare ancora una volta.
Se in questo contesto avvertiamo che il personale che si occupa di noi ha a cuore la nostra storia, quello che siamo e quello che abbiamo fatto, il senso di solitudine e abbandono diminuiscono sensibilmente. Scendendo nel concreto e facendo un paio di esempi: se è vero che tutti gli emigranti hanno una Storia comune, è anche vero che ciascuno di loro si è trovato ad affrontare questa Storia a partire dal proprio personale bagaglio di cultura, formazione e capacità. Alla persona che ha lavorato 40 anni come meccanico farà piacere (e quindi è salutare!) essere coinvolto nella riparazione di un oggetto; la persona che per 40 anni ha lavorato in una lavanderia e nello stesso tempo ogni sera ha messo a tavola la famiglia, avrà piacere ad essere coinvolta nella cura della biancheria, nella scelta dei menu e nell’elaborazione di ricette tradizionali. Si tratta in sostanza di non mettere il peso su ciò che non si può più fare, ma di mettere il peso su ciò in cui la vita ci ha reso competenti, e quindi utili.
Insieme alle necessarie cure mediche, questo lavoro di conoscenza, rispetto, valorizzazione delle capacità individuali e delle loro risorse, è una parte importante del percorso di cura e sostegno.
Anche nel rapporto con le persone che soffrono di demenza il lavoro sulla loro biografia è importante. Ci troviamo di fronte a qualcuno che lentamente ma inesorabilmente perde il filo dei ricordi, spesso non sa dove si trova e perché, ogni giorno non riconosce le persone che gli sono accanto, può sentirsi perso e avere paura. Se „la testa non c’è più“, come spesso loro stessi dicono, ci sono però comunque emozioni e sentimenti.
Essere informati su cosa amava fare questa persona nel suo tempo libero, se beveva caffé o the, se andava sempre a fare una piccola passeggiata, se aveva un giardino e trascorreva lì molta parte del suo tempo nella cura delle piante, se amava cantare ecc. è estremamente utile per poterle andare incontro su questo terreno, per riportarla, con piccole attività legate ai suoi interessi, ai momenti più piacevoli della sua vita, per risvegliare in lei buone emozioni, capaci di sollevarla dal suo stato di inquietudine. Prendersi cura delle persone vuol dire conoscerle, vuol dire concepire per ciascuna di loro un percorso individuale di intervento, vuol dire cercare di rispettare il più possibile la loro storia e la loro individualità, anche se devono vivere all’interno di strutture che ovviamente hanno anche bisogno di regole uguali per tutti.
Questo è il concetto fondamentale che guida il lavoro del personale che opera nella Fondazione „SAWIA Stiftung Alterswohnungen in Albisrieden“ e ovviamente nelle due „Oasi“ che ospitano gli emigranti. Sicuramente un’idea più facile da realizzare in strutture piccole, dove non vivono insieme più di 8/10 persone. Come in famiglia. In modo che, proprio nel momento finale del proprio percorso di vita, si possa ancora sentire che la propria storia ha avuto un senso speciale all’interno della Storia di tutti.