Più volte, nel corso del viaggio, il pensiero di Costantino aveva vagato dalla sollecitudine per l’incolumità della famigliola all’impazienza di raggiungere il padre in Britannia. Ma tra questi poli, un’altra carica, non meno intensa, lo aveva sospinto a visionare la separazione dalla madre, che aveva lasciato a Naissus dodici anni prima, e che solo una volta era riuscito a rivedere, pur non avendole mai fatto mancare notizie di sé e dei suoi progressi.
Ché non aveva certo dimenticato il tempo frenetico dell’attesa, allorquando bambino, a Naissus, aspettava impaziente la visita del padre, e con gli occhi colmi di trepidazione, appollaiato sul tetto, scrutava l’orizzonte, rimuovendo paziente il ciuffo biondo che gli cascava sul volto. E lassù arroccato, calcolatore e controllato, senza lasciarsi pervadere dal nervosismo della madre, e incurante del freddo e del vento, spingeva la vista lontano, a interpretare il più minuscolo batuffolo di pulviscolo, per correre a portare per primo la lieta notizia. E intanto, nell’ansia dell’attesa, la fantasia visionava il percorso del cavallo, lo guidava attraverso uno scenario che riusciva solo a intuire, non conoscendone altri, lui che non si era mai mosso da quella casa e altri paesaggi non conosceva se non quelli stesi davanti ai suoi occhi, e che l’immaginazione mulinava in un caleidoscopio di visioni, a generargli il turbamento di averne esaurite le realizzazioni nell’unico spazio e nell’unica ora che gli appartenevano, e in cui pregustava il piacere di scivolare giù dal tetto per trasmettere il suo urlo gioioso.
E ricordava il tuffo al cuore, quando la nuvolaglia di polvere si era davvero sollevata ad oriente; e attendendo che si schiarisse per non dare una falsa notizia, stringeva i pugni mentre la polvere si faceva più alta e definita. E solo quando i cavalli erano giunti a una distanza meglio congetturabile, e il polverone si profilava in sagome riconoscibili, si era precipitato incontro alla madre che si stava facendo sull’uscio, richiamata anche lei da un frastuono più indubbio; per poi subito correre verso il drappello ormai vicino, e avvinghiare la gamba del gigante che sorridente smontava da cavallo. E il padre lo afferrava e lo sollevava a un’altezza vertiginosa, stagliandolo contro il cielo, per poi stringerlo al petto con una fermezza che gli toglieva il respiro, prima di volgersi alla donna che era volata ad abbracciarlo.
E ricordava ancora quante volte, in quell’attesa, aveva udito la madre sperare che Costanzo si sarebbe fermato più a lungo; per essere atrocemente delusa allorché quella sosta era stata invece ancora più sbrigativa del solito, a causa delle trasformazioni che Diocleziano, da poco eletto, stava imprimendo all’impero. Già, poiché in conseguenza di una misteriosa decisione proveniente dall’alto, la gioia che madre e figlio avevano pregustato si era presto dissolta in amaro disinganno, nell’apprendere che l’allora cesare Massimiano avrebbe dovuto correre a domare una pericolosa rivolta di contadini in Gallia, reclamando in Rezia Costanzo, prima di affidargli il compito di andare a domare in Britannia l’insurrezione di Carausio.
E ricordava ancora bene, Costantino, lo sconforto della madre, che non vedeva mai giungere il tempo di riunire la famiglia, senza che Costanzo se ne dovesse allontanare per qualche missione. E invano il compagno cercava di tranquillizzarla, garantendole che dopo la Britannia il suo prestigio sarebbe tanto cresciuto che avrebbe potuto reclamare ogni cosa. Del resto, quella scalata a prefetto di Massimiano non era il segnale che la sua stella rifulgeva, e che per effetto della tetrarchia un giorno Massimiano sarebbe diventato augusto, e lui l’avrebbe legittimamente sostituito nel ruolo di cesare? E lo diceva con un trasporto tanto genuino, da far sognare anche Elena, che con le pupille allargate vedeva il figlio procedere incontro a un avvenire sfolgorante.
Del resto Elena conosceva bene Costanzo, e sapeva che non avrebbe mai osato millantare successi improbabili o di difficile attuazione. Per cui si diceva che era solo una questione di mesi, e poi per loro si sarebbe prospettata un’altra vita, che l’avrebbe ripagata delle tristezze e delle rinunce. Forse presto avrebbe potuto entrare nel palazzo e toccare la veste dell’augusto; forse sarebbe stata addirittura ammessa alla sua mensa, o sarebbe diventata intima dell’imperatrice. E Costantino sarebbe salito al grado di prefetto, come il padre, e si sarebbe coperto di onori al seguito dell’imperatore. Ignora che quel Galerio, di cui aveva ben conosciuto la volgarità nelle poche volte che Costanzo gliel’aveva condotto come ospite, a due passi dal potere supremo gli avrebbe per invidia e vigliaccheria sbarrato la strada, senza peraltro confonderla: poiché il piccolo audace di un giorno, che aveva presto imparato il significato della ragione di stato, aveva ancora educato la volontà alle risoluzioni più ardue, e avrebbe sfidato tutte le avversità per abbrancare a sua volta il potere.
Per poterci riuscire, però, Costantino aveva dovuto lasciarsi persuadere all’atroce atto di distaccarsi da Elena, per seguire il padre. E ancora sentiva un groppo in gola, quando pensava al congedo dalla madre, la cui impazienza era acutizzata dall’inazione in cui fremeva nella quotidianità, solo mitigata dalla speranza che un giorno il suo uomo venisse a prelevarla per realizzarne il sogno di scalata sociale. Poiché, anche se Costanzo nelle lettere evitava prudentemente ogni allusione capace di infiammare la fantasia, Elena, confondendo desiderio e esecuzione, proprio nella reticenza pronosticava convalide; e assorta nel miraggio che da un giorno all’altro sarebbe scoccato l’evento che le avrebbe trasformato l’esistenza, non riusciva a sentirsi più a casa a Naissus, da dove era sempre pronta a partire.
Né questo sentimento di attesa aveva mancato di avere qualche riflesso su Costantino stesso: che, corroborato dalla certezza della madre, già nei giochi assumeva con naturalezza il ruolo del protagonista, che alle proposte avanzava soluzioni, e che invece di piegarsi alle regole altre ne inventava col proposito di infrangerle. E mentre con autorità ne denunciava l’artifizio, con una sicumera che intimidiva tutti si assuefaceva alla quota della gloria, favoleggiando del tempo in cui avrebbe compiuto gesta insigni. E coniugando un temperamento gioioso a un fisico sano, se accadeva che una titubanza cogliesse la madre, era sempre pronto a restituirle le stesse parole che aveva appreso da lei, e a riconfortarla con la medesima persuasione che da lei aveva imparato ad alimentare.
Ma ricordava anche come le cose, proprio nel momento in cui sembravano vicine alla realizzazione, erano invece precipitate dolorosamente, quando Costanzo era diventato cesare di Massimiano; e si era precipitato a Naissus, per condividere con Elena la gioia che presto avrebbe potuto sposarla e tenerla presso di sé insieme al bambino. Senza lontanamente sospettare che quella nomina, che ne sollevava la posizione economica e il prestigio sociale, e che dopo tanta attesa sembrava annunciare a Elena il tempo della riscossa, avrebbe costituito invece la premessa della loro separazione definitiva.