Per favola si intende un genere letterario caratterizzato da brevi composizioni, in prosa o in versi, che hanno per protagonisti quasi sempre animali – più raramente piante o oggetti inanimati – e che si concludono solitamente con una «morale». Il termine italiano «favola» deriva dalla parola latina «fabula», derivante a sua volta dal verbo «far, faris» = dire, raccontare. Il termine latino «fabula» indicava in origine una narrazione di fatti inventati. La favola ha pertanto la stessa etimologia della «fiaba». Sebbene favole e fiabe abbiano molti punti di contatto, oltre alla comune origine, i due generi letterari sono diversi.
I personaggi e gli ambienti delle fiabe (orchi, fate, folletti, ecc.) sono fantastici, mentre quelli delle favole (animali con il linguaggio, i comportamenti e i difetti degli uomini) sono realistici. La favola è accompagnata da una «morale», ossia un insegnamento relativo ad un principio etico, il bene in contrapposizione al male, o un comportamento che spesso è formulato esplicitamente alla fine della narrazione (anche in forma di proverbio). La morale nelle fiabe in genere è sottintesa e non centrale ai fini del racconto.
La favola può essere in prosa o in versi. Dal punto di vista della struttura letteraria, presenta elementi di somiglianza con la parabola, nella quale tuttavia non compaiono animali antropomorfi o esseri inanimati. Come genere letterario, le favole più antiche costituiscono verosimilmente l’elaborazione di materiale tradizionale gnomico associato forse ad una remota epopea di animali.
La più antica favola, tra tutte quelle note, è considerata la Storia dei due fratelli, un componimento egizio del XIII secolo a.C. La tradizione orale della favola in India può essrere fatta risalire al V secolo a.C. La più antica raccolta di origine orientale, il Pâncatantra, è sopravvissuta solamente attraverso una tradizione araba dell’VIII secolo. Di Esopo, il più antico autore di favole greche e del mondo occidentale, possediamo 400 racconti in prosa di cui tuttavia non si sa quanto l’attuale redazione, ellenistica o bizantina, corrisponda all’originale. La stessa storicità di Esopo è stata spesso messa in discussione. Le sua favole costituiscono ancora il modello del genere letterario e rispecchiano comunque la morale tradizionale dell’antica Grecia.
Anche il favolista latino Fedro (I secolo d.C.) sarebbe stato uno schiavo, come si racconta lo fu Esopo. Nato in Tracia, condotto prigioniero a Roma, affrancato da Augusto, scrisse durante il regno di Tiberio favole in senari giambici molte delle quali verosimilmente sono andate perdute. Esse ripetono il modello di quelle di Esopo, ma con un diverso atteggiamento. Fedro non è infatti, come Esopo, il favolista di un mondo contadino, ma di uno Stato evoluto dove dominano l’avidità e la sopraffazione. Sebbene con le sue favole non si fosse proposto attacchi personali, Fedro tuttavia fu perseguitato da Seiano, il potente prefetto del pretorio di Tiberio. Nelle favole pessimiste di Fedro il prepotente trionfa sempre sul debole, il quale è invitato alla rassegnazione o, nella migliore delle ipotesi, a cercare un compromesso accettabile nei rapporti con il potere: « Ora perché sia nato della favola il genere in breve ti spiegherò. La schiavitù, ai padroni soggetta, non osando dire ciò che avrebbe voluto, traspose le sue opinioni in brevi favole, ricorrendo, per schivare le accuse di calunnia, a scherzose invenzioni».
Nel Medoevo il genere della favola ebbe molta fortuna. In Francia fiorirono raccolte di favole esopiche che rispecchiavano i valori dell’aristocrazia feudale, mentre quelle italiane, scritte in lingua volgare, riproducevano la morale delle nuove realtà sociali dominanti alla fine del medioevo: i mercanti e gli ordini mendicanti. Le favole furono mollto apprezzate nel periodo rinascimentale e al modello di Orazio, ricorse l’Ariosto nelle Satire. Anche Leonardo da Vinci scrisse alcune favole che seguono la struttura del genere classico, ma che hanno per personaggi soprattutto gli elementi naturali e veicolano un giudizio pessimistico In età barocca in Francia Jean de La Fontaine creò dei veri capolavori rivolgendo una satira impietosa alla corte, all’aristocrazia, alla chiesa, alla nascente borghesia, in breve all’intero consorzio umano. La sua influenza fu enorme in tutta l’Europa. Ma il secolo d’oro della favola fu il XVIII secolo. Sotto il camuffamento degli Animali gli illuministi lasciavano intravedere la sottostante razionalità. Nell’Ottocento scrisse favole anche il grande Tolstoj, dedicate soprattutto ai figli dei contadini.
Nel XX secolo ricordiamo Pietro Pancrazi, Trilussa, autore di testi in romanesco, Italo Calvino (Marcovaldo), Jean Anouilh, Leonardo Sciascia, George Orwell con il più noto romanzo La fattoria degli animali, Rudyard Kipling (Il libro della giungla), Franz Kafka. L’età contemporanea ha visto in Italia il lavoro per ragazzi di un grande Scrittore: Gianni Rodari, i cui racconti non hanno nulla del patetico e dell’avventuroso ad ogni costo, ma narrano la vita quotidiana di oggi con modi fantastici e surrealistici trasformando il tono fiabesco in intelligente umorismo. Tra le sue numerose opere citiamo: «Le avventurte di Cipollino», «Filastrocche in cielo e in terra», «Il libro degli errori», «La torta in cielo», «Il Libro dei perché», «Gli esami di Arlecchino», «Teatro per ragazzi».
(Fonti: Wikipedia, «L’Enciclopedia tematica – Letteratura», Gruppo editoriale l’Espresso.
La favola nella vita quotidiana è il segreto ritorno ad un’infanzia felice e perduta. Le delusioni nel lavoro e degli affetti, lo stress, le invidie, i problemi economici mettono la persona nella condizione di cercare altre vie, un mondo governato dalla gioia, dall’amore, dall’ottimismo.
Il castello incantato, la bella addormentata nel bosco, o, più semplicemente, una storia sentimentale con l’affascinante vicina di casa o con la collega d’ufficio, un improvviso successo professionale ti fanno uscire dall’anonimato, ti fanno diventare protagonista. Scriveva un grande poeta spagnolo che nel momento in cui smettiamo di sognare (e di inventare favole), è come se cominciamo a morire. Contrapponiamo, ad ogni istante della nostra esistenhza, alla figura bieca di Thanatos l’immagine splendente di Eros.