“No,” rispose Minervina con dolcezza, mentre Elena faceva strada verso l’interno, dando disposizione alla servitù di approntare il necessario per una accoglienza degna degli ospiti. “Nel mettere piede in Asia, che non avevo mai visto, in qualche modo mi sembrò di essere ritornata a una specie di terra promessa, sotto un cielo simile a quello siriano che tanto spesso mia madre decantava; e mi parve persino di aver trovato qualcosa di quel padre di cui lei raccontava estasiata, e che purtroppo non ho avuto modo di conoscere.”
In verità quando Minervina giunse a Nicomedia, Paolo era ancora in vita; e Diocleziano, indifferente al suo passato di vescovo e alle riserve che lo avevano offuscato e per le quali Aureliano l’aveva deposto, aveva fatto in modo da fargli sapere della parola mantenuta, fino a invitarlo addirittura a ricongiungersi con la figlia, per viverle accanto gli ultimi anni. E Paolo, malgrado gli stenti e l’età, si era effettivamente messo in viaggio per Nicomedia: dove però non giunse mai, perché la morte lo colse in viaggio nei pressi di Antiochia, stroncandone perfidamente la gioia, senza però privarlo della soddisfazione di sapere esaudito l’ultimo desiderio che aveva espresso tra le macerie di Palmira.
“Strana, in verità, questa attenzione di Diocleziano per un vecchio che neanche conosceva, e per una bambina che non aveva mai visto,” considerò Elena con lo sguardo nel vuoto. “Chi l’avrebbe mai detto che sotto quel petto duro si nascondessero dei sentimenti…”
“Invece non ti stupirebbe,” spiegò Costantino, “se lo avessi sentito lamentarsi della solitudine, per la mancanza dell’imperatrice e della figlia…”
“Perché, non vivevano con lui?”
“Certo che no. Quando Valeria, dopo il matrimonio con Galerio, lo seguì a Tessalonika, anche l’imperatrice, inspiegabilmente, andò a vivere con loro. E a Nicomedia più di una volta mi è capitato di cogliere allusioni dell’imperatore alla sua solitudine. No, madre, contrariamente a quanto atteggiava all’esterno, non credo che l’imperatore avesse un cuore chiuso ai sentimenti, anche se stentava a manifestarli. E forse in Minervina trovò una forma di compenso, visto che l’accolse come una principessa, non le fece mai mancare niente, e la trattò con sorprendente tenerezza, quasi scorgesse in lei la figlia che non aveva più…”
“E come mai allora non contrastò la vostra unione?” chiese Elena allusiva.
“Non solo non me lo impedì, ma non si stupì nemmeno quando gliene manifestai l’intenzione. Mi confidò invece che non avrebbe potuto sperare di meglio che affidarla a me, con cui le aspettative di Zenobia e di Paolo avrebbero raggiunto uno stadio che non avrebbero nemmeno potuto immaginare. Già, perché a suo dire, io, e nessun altro, ero chiamato a sostituirlo degnamente…. Né poteva sapere che Galerio avrebbe disposto altrimenti, benché solo per poco. Credimi: la partita tra noi due è solo incominciata. Ho promesso a te, molti anni or sono, che ti avrei offerto una vita migliore; e la stessa cosa ho promesso a Minervina. E manterrò la parola.”
Con la velocità del desiderio, Elena vide subito quanto su Costantino convergessero ora le ansie di due donne che lo amavano per quello che era e per quello che sarebbe diventato: entrambe accumunate nella speranza di una scalata che avrebbe coinciso con la loro; e colse il complice tremore di Minervina, in cui indovinò un’alleata che raddoppiava le probabilità del successo. Due donne che si associavano nella visione di un eroe in marcia verso la vetta, come se Dio avesse manifestato il suo disegno sulle labbra di quello splendido bambino che continuava a sorridere, e che sembrava aver assunto l’onere di prolungarne ancora oltre le gesta.
No, continuava intanto a persuaderla Costantino, non si era sbagliato Diocleziano nel considerarlo suo pupillo ed erede. E sarebbe certo andata così, se la sua salute non fosse declinata al punto da costringerlo al ritiro, lasciando che Galerio si impossessasse del potere e della sua sorte. Anche la svolta anticristiana era stata determinata da quel vice, che non aveva mai fatto mistero della sua antipatia, e aveva incanalato la riserva moderata dell’imperatore verso una politica funesta, che non poteva durare. I cristiani non erano peggiori soggetti degli altri; tra di loro esistevano persone giuste e cittadini esemplari. Questo avrebbe cercato di far intendere a Diocleziano, se non avesse inspiegabilmente abdicato, e ancora più inspiegabilmente non avesse tollerato la tracotanza di Galerio, quando l’aveva accantonato. Vero era che il padre da tempo lo reclamava in Britannia, dove scalpitava di portarsi. Ma l’ostilità del nuovo imperatore lo aveva indotto ad aspettare il momento opportuno per fuggire con l’intera famiglia, e non lasciarla nella mani di Galerio, che di certo si sarebbe vendicato su di essa.
Ora però bisognava muoversi rapidamente. Posti al sicuro Minervina e Prisco, fremeva Costantino, era necessario che tutti lo sapessero su un’altra strada, senza sospettare che li aveva lasciati a Naissus. Per questo, prima che gli informatori di Galerio si accorgessero della deviazione e si mettessero in moto, contava di confondere le piste allontanandosi dalla casa materna. Così che, una volta scoperta la fuga, i sicari di Galerio avrebbero inseguito solo lui, che intanto avrebbe lasciato tracce del suo passaggio sulla via per Salona, per dare ad intendere che puntava verso il palazzo di Diocleziano, inaccessibile agli sgherri di Galerio non avrebbe osato cercare. E intanto lui, con un altro scarto, avrebbe rapidamente cavalcato verso lo snodo di Aquileia, da dove poi puntare su Gessoriacum, per imbarcarsi infine alla volta della Britannia.
Persuaso dunque che la seduzione di Prisco aveva stabilito tra la madre e la sposa una complicità che le avrebbe sostenute nell’attesa, pur rendendosi conto di comportarsi non troppo diversamente da Costanzo, così Costantino trovò una giustificazione nella gravità del momento. Si trattava, invero, di vincere o perire; e d’altra parte il padre, a giudicare dall’insistenza allarmata, lo reclamava al suo fianco in Britannia: dove, ne era certo, sarebbe successo qualcosa di fondamentale.
Non poteva però indugiare ancora, per la sicurezza di tutti e per l’avvento della sua rivincita. Pertanto, dopo essersi rifocillato e riposato, sul far della sera prese con sé qualche scorta alimentare; e fatte le raccomandazioni del caso alla madre e alla sposa, baciò teneramente il piccolo Prisco, e si spinse nella notte.