Il racconto della loro vita nell’opera di Dominique Simonnot
Mi capita spesso di tornare nelle terre del nord – est della Francia. Lassù ove tutto è piatto e nebuloso salvo le montagnette nere che si ergono a ricordare un passato tra i più terribili della storia del secolo ventesimo. Ci torno in occasione di manifestazioni della nostra emigrazione. Rivedo i vecchi minatori e i metalmeccanici delle tante acciaierie dai camini oggi cadenti e spenti a immagine di un tempo ormai passato. C’è, nelle loro feste, a cui partecipano figli e nipoti, un senso di gioia esplosiva ammantato, tuttavia, da un certo non so che di tristezza repressa e in cui ti sembra di scoprire la rabbia del tempo perduto. Lo scopri nei volti scavati dall’età e dal duro lavoro. In quella ilarità spinta. In quella quasi ossessiva ricerca dell’approccio, del voler stare assieme per sentirsi protetti e meno soli. L’abbraccio per dirti: siamo ancora qua, tu e io, con i nostri ricordi, le passioni, le gioie e le tristezze, la nostalgia e i ricordi, le vittorie e le sconfitte. Già: storie. Come le ha raccontate, quasi con lucida follia, un giornalista francese a cui dobbiamo riconoscenza e ammirazione.
Storie di sangue e di lacrime, di lavoro e di morte, di lotte e sconfitte, di giustizia sociale e civile. Dominique Simonnot, un giornalista del “ Canard enchainé”, il giornale satirico francese, ha riscritto le tragiche vicende dei minatori del nord della Francia scesi in sciopero, nel mille novecento quarantotto, per la conquista dei più elementari diritti sul posto del lavoro e nella vita di ogni giorno. Furono due drammatici mesi di lotta repressi con le armi: sei morti, oltre duemila arresti e altrettante vite spezzate nei sentimenti e nella tristezza della sconfitta. Si chiamavano Simone, Roberto, Daniel, Henri, Lucienne, Georges, la miniera era tutta la loro vita. Rivoltandosi contro il degrado delle loro condizioni di vita e di lavoro, nella sconfitta persero tutto: l’impiego, la casa, la scuola per i piccoli, il medico per le cure. Molti di loro hanno subito una tremenda repressione contrassegnata da processi ingiusti e verdetti di prolungata prigionia. Con un misto di compassione, tenerezza e precisione, Dominique Simonnot traccia le vite di questi eroi sconosciuti. Di vite contrassegnate dal duro, bestiale lavoro. Di ragazzi troppo giovani e per così poco profitto, ove il padrone ha tutti i diritti e si paga molto caro il coraggio di ribellarsi, alzare la bandiera della dignità e dell’onore, sposarsi o separarsi, fare dei figli, cercare una esistenza dignitosa, vivere o morire.
Schizzi di sapienti ritratti illustrano un mondo di un lontano passato finito nell’oblio della storia. Quello dei recinti, o sepolcri dei carbonai, ove si muore sempre troppo presto. Specie di pecore nere imprigionate da cancellate chiuse a chiave nella notte e ove le famiglie operaie coltivavano qualche legume e allevavano del pollame. Un mondo ove il carbone di qualità è riservato agli ingegneri che dispongono di dimore decorose per le loro famiglie, per le mogli e i figli. Un mondo dominato da un onnipresente paternalismo a cui sottomettere il corso della vita quotidiana : l’ obbligatorietà dell’andare a messa, conquistare la benevolenza di un capo, farsi riconoscere lo stato di salute precario per i polmoni devastati dalla sabbia sottile della silicosi.
Un mondo ove le donne vengono direttamente agli uffici in miniera a ritirare il salario dei mariti per evitare che il denaro, guadagnato violentando l’oscura roccia dall’alba al tramonto, venga dilapidato al bistrot, l’osteria delle risse e dei sogni perduti. Un mondo ove le donne si alzano alle quattro del mattino per accendere il fuoco e preparare il “casse-croute”, lo spuntino dei minuti di pausa dei loro mariti laggiù nella grotta oscura a malapena rischiarata da una flebile luce. Un dura vita con dei brevi momenti di intensa gioia : un matrimonio, i balli organizzati per ogni e qualsiasi pretesto, le corse dei sacchi. Pur nel brutale destino si possono scoprire tratti e comportamenti di straordinaria umanità. Personaggi luminosi, quasi come i Re Magi, apparsi millenni or sono ad annunciare la lieta novella destinata a cambiare i destini dell’intera umanità. Il medico ricco di un sentimento solidale, del valore della dignità e della giustizia e la di lui moglie dedita alle piccole cure: un mantello, una sciarpa, i guanti per proteggere le manine dei piccini nel duro inverno delle terre del nord.
Nell’opera che Dominique Simonnot ha dedicato ai minatori vittime della repressione che vide scorrere il sangue, si racconta la maratona giudiziaria condotta da sedici scioperanti sopravvissuti. Difesi da un eroico avvocato, Tiennot Grumbach, nel frattempo deceduto, strenuo difensore della causa operaia, essi si sono battuti per far riconoscere il carattere discriminatorio e l’ingiustizia dell’allora licenziamento. Sino ad oggi, nessun verdetto riparatore. Chissà?, forse per seppellire definitivamente il ricordo di quei terribili avvenimenti, si aspetta la scomparsa di ognuno di loro. Noi, al contrario, vorremmo preservare la memoria di una lotta di libertà e giustizia. Lassù, come si evince dai nomi, lavorarono, fianco a fianco, uomini di ogni provenienza e nazione. Anche tanti nostri emigrati, vittime dell’esodo di massa degli anni 40–60: confinati, esiliati, sindacalisti e antifascisti prima, miseri lavoratori del dopo guerra italiano poi. Per chi non è più e per quelli ancora in vita, a testimonianza di una terribile epopea storica e umana, il più commosso saluto e ringraziamento.