C’é un boom dell’usato griffato, in vere boutique del riciclo di lusso o nei mercatini, e nascono i primi club di fashion-scambiste, niente a che vedere col sesso naturalmente.
La crisi é anche questo, un cambiamento di consumi: non é la fine del consumismo, ma é l’inizio di un nuovo modo di amare la moda. Nessuno é più disposto a comprare pur di comprare, e allora ecco le nuove abitudini.
Prima di tutto, per fare entrare qualcosa di nuovo nell’armadio, quasi tutte le donne ormai devono eliminare un po’ del “vecchio”.
C’é la signora che fa beneficenza, ma per una che regala, dieci ormai vanno a vendere. Spiega Renata Monfrini, che ha ideato alcuni anni fa “Il Girotondo” di via Dugnani a Milano: “Abbiamo deciso di bloccare per due settimane gli appuntamenti con chi vuole consegnarci i capi, perché non sappiamo più dove metterli”. Il Girotondo era nato per riciclare i vestitini, quelli migliori, quelli che finiscono per essere indossati pochissimo dai bambini.
Dai pupi alle mamme il passo é stato breve: “Ritiriamo vestiti e accessori preferibilmente di marca e comunque sempre in buono stato, concordiamo il prezzo e poi, se lo vendiamo, facciamo a metà con la proprietaria. Ma in tutti questi anni – spiega Monfrini – mai c’era capitata una tale valanga di merce. Deve essere la crisi, molte signore cercano di fare un po’ di cassa con le cose vecchie. Che poi vecchie non sono, magari hanno solo stufato o non sono mai state della taglia giusta e diventano il capo firmato cui altre donne aspirano”. Perché anche se gli stilisti cambiano i trend continuamente, nel vissuto delle donne le mode resistono di più. Ed é ormai difficile stabilire cosa sia di tendenza e cosa no, per cui il criterio di scelta é molto più libero e l’usato va alla grande.
Lo confermano anche da Dress Agency, stessa logica “incontro vendita”, con due sedi a Roma, in via del Vantaggio e in via Plana ai Parioli: “Quest’anno c’é più gente a consegnare i vestiti. Forse – aggiungono – non è ancora cresciuto molto il numero di chi compra”.
A Roma soprattutto c’é la concorrenza dei mercatini come il Borghetto in zona Flaminio, dove si fanno colpi grossi con poche decine di euro.
È stato il turn-over ossessivo della moda, paradossalmente a far nascere la voglia di “vintage”.
Al “Mercatino Michela”, indirizzo Milanese dell’usato di alta qualità, fanno un ragionamento differenziato che forse spiega i contorni della crisi: nel loro negozio di viale Tunisia, zona semi-centrale, la clientela, che mediamente è di target più basso, è decisamente aumentata. Invece nella sede di via Spiga, pieno quadrilatero della moda, “è diminuito il numero di signore che vengono a sfoltire il guardaroba firmato e qualcuna viene a riprendersi i capi affidati in vendita, dopo aver visto che in giro non c’è niente di molto bello e in compenso tutto è molto caro”.
C’é poi chi non si separerebbe mai dal vestito amato, ma è disposta a tradirlo per un po’. Spiega Gianna, bancaria romana trentenne e vera fashion-victim: “Stiamo cercando di creare un giro di donne per scambiare abiti e accessori, come ormai si fa normalmente a Londra e New York. Tutto funziona però sul passaparola, niente internet. Per ora siamo un gruppo di amiche, stessa taglia e stessi gusti. Avevamo anche pensato di comprare in società una borsa importante, ma abbiamo rinunciato, non vogliamo litigare per il possesso”.
Su internet c’è invece chi ha iniziato una nuova forma di business, offrendo in affitto le borse cult della stagione, quelle che costano anche più di 1500 euro: con 70 euro per una settimana o 250 euro per un mese, le patite della moda si tolgono la voglia e non ci pensano più.
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