Il parere di Nicoletta Gazzana Priaroggia a cura di Antonia Pichi
Insegnante di lettere di scuola secondaria di primo grado in Italia, Nicoletta Gazzaana Priaroggia è docente nei corsi di lingua e cultura a livello medio nel Cantone Vaud dal 2004 al 2009. Tra il 2009 e il 2013 ha effettuato una tesi di dottorato dal titolo: “Insegnare l’italiano “lingua d’origine” nelle Svizzera Romanda. Rappresentazioni e strategie di adattamento di un gruppo di docenti”.
Sarebbe opportuno come priorità dividere gli alunni in entrata secondo le loro competenze?
Il problema delle classi costituite da alunni con competenze diverse e spesso anche con età diverse è uno dei principali ostacoli incontrati dai docenti di lingua e cultura italiana. Quando gli alunni dei corsi non sono numerosi si è obbligati a comporre delle pluriclassi, ossia ad avere alunni di età differenti che si trovano a dividere la stessa lezione.
Che cosa scegliere, dunque: dividere gli alunni secondo il livello di competenza linguistica o privilegiare una certa omogeneità a livello di età?
Per intenderci: potremmo avere un ragazzo di 7 anni che parla molto bene italiano e uno di 13 che è a livello di principiante, anche se a livello cognitivo è più maturo. Tutto dipende dalla loro familiarità con l’italiano e dalle occasioni che hanno di praticarlo. Certo che l’ideale sarebbe avere omogeneità di età e di livello, ma ciò avviene molto raramente e la dispersione dell’utenza sul territorio non permette di creare, se non raramente, gruppi omogenei.
Il principio su cui si basano quindi i Corsi è che ognuno è in competizione con se stesso e percorre un cammino personale di apprendimento che può inrociarsi con altri, che può ricevere e dare a seconda delle situazioni, nell’interazione con compagni più o meno preparati, ma resta, nella maggior parte dei casi, su un binario personale. E’ proprio questa la difficoltà dell’insegnante: egli deve individuare il punto di partenza di ogni alunno ed indicargli un percorso, senza perdere di vista la varietà nel gruppo-classe che, a seconda delle sue particolarità, verrà utilizzato come risorsa e non come ostacolo.
Per fare un esempio concreto, immaginiamo una classe come quella che mi era capitata a Crissier anni fa: avevo circa 17 alunni. I più giovani avevano 11 anni e i più grandi 15. Potete immaginarvi la difficoltà di gestire preadolescenti e adolescenti tra le le 17,30 e le 19,30, stanchi dopo una giornata di scuola, tutti insieme. Eppure dopo un periodo di organizzazione iniziale che aveva dato spazio a colloqui personali per conoscere a fondo gli alunni, il gruppo funzionava a meraviglia, quasi come una famiglia. L’insegnante era regista e supervisore, proponeva attività concepite per singoli o per gruppi, i più grandi avevano attività a parte ma in certi momenti aiutavano i più piccoli, i più bravi guidavano le attività dei meno bravi. Dopo un mese tutti sapevano che cosa dovevano fare e lo facevano bene. L’insegnante non parlava mai alla classe ma ai singoli e ai gruppi. L’atmosfera, all’inizio incandescente, nel corso dei mesi si era rasserenata e tutti avevano trovato posto e attività secondo le proprie capacità. Certo, tutto ciò ha previsto la preparazione di attività e di materiale adatti.
Si potrebbero organizzare test in uscita per controllare il rendimento ed i livelli di competenza a prescindere dalle prove di certificazione?
L’unico tipo di test fattibile potrebbe essere un test unico sulle quattro competenze che potrebbe venir proposto alla fine del percorso, in cui ciascuno si situa in ogni competenza ad un certo livello. Dovrebbe essere calibrato a un’età che corrisponda alla fine della scuola dell’obbligo perchè ci sia una certa omogeneità. Si potrebbe ipotizzarne anche uno che corrisponda alla fine delle scuole primarie. Non è necessario superarlo, ma è importante situarsi su una scala per ogni competenza.
Vedo più difficile valutare l’aspetto culturale che resta un elemento rielaborato da ciascuno in modo molto personale.
Quali difficoltà possono trovare i docenti?
Le difficoltà che i docenti possono trovare sono moltissime. A parte quelle di cui ho parlato sopra, sappiamo che essi, in molti casi che ho riscontrato nella mia ricerca, assumono un incarico che risente delle differenti politiche locali e viene trattato di conseguenza. Spesso le sedi dei corsi sono difficili da raggiungere e non adeguate alla situazione; gli orari, se non inseriti o integrati alla scuola svizzera, sono quelli del secondo pomeriggio con tutte le difficoltà che ciò comporta. La distanza tra le sedi, la difficile comunicazione coi colleghi, coi superiori e con le famiglie degli alunni non rendono certo il compito facile. E potremmo continuare con le difficoltà d’integrazione personale e altro.
Sarebbe bene preparare nuovi programmi per gli alunni tenendo conto dei rapidi e continui mutamenti della società in cui vivono e delle nuove competenze richieste?
Certamente ogni docente dovrebbe essere aggiornato in parallelo alla mutazione della situazione sociale dei due paesi cui fa riferimento e saper cogliere i reali bisogni dei suoi alunni, in modo da favorire la ricomposizione della loro identità pluriculturale.
Quanto è importante l’insegnamento della cultura? Quale cultura si dovrebbe portare in classe?
Nel termine “cultura” possiamo comprendere moltissimi aspetti diversi, dalla storia all’attualità, dalla musica alla cucina, dalle feste popolari alla politica. Potremmo dire che non c’è studio della lingua senza cultura: essa emerge in continuazione, anche solo nel modo di salutarsi. Ogni docente che arriva dall’Italia porta con sè la sue rappresentazioni sulla cultura e sullo spazio da darle all’interno dei corsi. C’è chi insegna la lingua attraverso la cultura e chi insegna la cultura attraverso la lingua. Ad ogni livello di età si può e si deve inserire il discorso culturale: è quello che motiva gli alunni, che riconoscono elementi “già noti” di cui hanno sentito parlare in famiglia. L’aspetto culturale è quello che distingue i corsi di lingua “d’origine”. La cultura può emergere anche in una serie di frasi dettate, in esercizi che richiamino elementi della civiltà che si studia. Certo, si può far ad un certo livello anche letteratura, ed è di grande soddisfazione: non bisogna temere di annoiare o di fare cose troppo difficili. Scegliere alcuni argomenti storici, creando attività stimolanti, può riscontrare molto successo. In questo caso penso che ogni docente, all’interno delle indicazioni ricevute, possa scegliere creativamente le proposte da fare ai suoi gruppi-classe a seconda della situazione trovata.
Consentitemi un ultimo esempio. In una classe che presentava età differenti, si era presentato un nonno italiano colto e brillante con due nipotini, dicendo che avrebbe tanto voluto farli partecipare ma che non riusciva a convincerli. Allora gli ho chiesto di venire in classe con noi: nella prima parte della lezione seguiva, in una parte della classe, i nipoti negli esercizi che proponevo ogni volta, poi, nell’ultima mezz’ora di corso, ci trovavamo tutti intorno a un tavolo, ragazzi dai 10 ai 15 anni, col nonno, e ogni volta decidevamo un argomento di conversazione. Il dibattito era organizzato come una serie di interviste al nonno (che era immigrato in Svizzera anni prima ma che aveva vissuto la sua gioventù in Italia), ma naturalmente era consentito fare commenti. E’ stato tutto improvvisato, non avrei mai avuto l’idea di progettare una cosa del genere, ma alla fine tutti si erano uniti e aspettavano con interesse il momento della chiacchierata finale, come se fosse un pasto in famiglia da cui ciascuno usciva nutrito in uno scambio generazionale molto arricchente. Anche questo è stato un modo di insegnare la cultura.