“No, al contrario. Ciò che sommamente desidero è proprio il suo bene, ma non al modo tuo. Ogni uomo ha la sua carta da giocare, su questa misteriosa scacchiera della vita. Io so quale è la mia, e non la getterò per un ordine iniquo. Rispondo solo alla coscienza e a Dio del mio agire, e non mi piegherò. Hai su me potere di vita e di morte: ma esso riguarda solo le miseri carni che vesto. La mia anima è libera e pura, e né tu né nessun altro potrà macchiarla.”
“Capisci che non posso tollerare questa tua insubordinazione? La mia clemenza sarebbe vista come un atto di irresolutezza; e in questo momento, che ho bisogno della confidenza cieca del popolo, nessun’ombra deve offuscare il prestigio della mia autorità.”
“Intendo le ragioni del tuo parlare, anche se non le condivido. Potresti compiere un gesto di magnanimità: ma il vischiume che appanna i tuoi occhi ti impedisce di osarlo. Compi allora, se credi, un altro misfatto, e mostra che sei degno figlio del tuo genitore, alzando la mano su di me, come lui l’alzò sulla mia famiglia. Prova la nobiltà del tuo cuore, infierendo su un uomo che ti offre parole di pace, e che tu vuoi distruggere solo perché non professa la tua fede. Sappi però che non è così che vincerai; che non è così che ti solleverai sul tuo popolo come guida luminosa.”
“Taci, sfrontato! Hai già troppo offeso la mia maestà, e troppo ho tollerato il tuo parlare audace!”
“E allora procedi contro di me. Mi avvedo bene che la luce della verità, almeno per ora, non ha accesso al tuo cuore.”
E là Gregorio sopravvisse miracolosamente, nutrito dalla mano pietosa di una vedova. Non ne uscì nemmeno quando lo scontro fratricida tra gli eredi persiani si risolse a favore di Narseh, in cui sembravano rivivere le velleità e la stravaganza del nonno Shapur. Allora le sorti dell’Armenia furono nuovamente decise. Tiridate fu costretto per la seconda volta all’esilio: ma nessuno dei nuovi padroni si ricordò della sorte toccata a Gregorio, che rimase ancora a lungo a marcire in prigione.
Perché Tiridate potesse riconquistare il soglio, fu necessario che vi provvedesse Diocleziano. Il quale, fin dalla sua elezione non aveva smesso di pensare alle sorti dell’Armenia; e durante l’assedio di Alessandria, intenzionato a rendere sicuri i confini e smussare l’arroganza di Narseh, aveva richiamato Galerio dal Danubio, per stringere insieme il re persiano in una tenaglia. Galerio, però, giunto primo alla presenza dei persiani, e bramoso di gloria personale, senza attendere l’imperatore aveva cercato lo scontro. Ma cascato nelle trappole di Narseh, era riuscito a salvarsi a stento, insieme a pochi sopravvissuti, tra cui lo stesso Tiridate, che si era tuffato nel fiume con tutta l’armatura, e ancora una volta grazie al suo straordinario vigore aveva potuto raggiungere indenne l’altra sponda.
Reso attento dall’errore commesso, e facendosi guidare sempre dal principe armeno attraverso le impervie gole della sua terra, Galerio aveva poi conseguito a sorpresa un successo decisivo sui persiani. E sotto la protezione di Roma, la testardaggine di Tiridate era stata nuovamente ricompensata, e l’Armenia era ritornata sotto il suo scettro. Fortemente teso al benessere della sua gente, ed educato alla cultura romano-ellenistica che lo portava a considerare i cristiani come agitatori sociali, il re non vedeva di buon occhio i missionari; e particolarmente irritato era per la campagna di Gregorio, che faceva ancora proseliti, anche dopo che l’aveva fatto gettare in prigione anni prima. Pertanto, anche al ritorno, non si curò di trarne fuori l’antico compagno: che intanto continuava a languire nel carcere dove probabilmente sarebbe morto, se nel 301 non fosse sopravvenuto il prodigioso evento che avrebbe modificato la vita sua e quella del suo popolo. Un mutamento, a sentire Agatangelo, avvenuto in seguito alla miracolosa intercessione di Gregorio; ma che aveva preso imprevedibilmente le mosse nel lontano Occidente, sulla spinta di un’azione turpe di Massimiano.
Le premesse per la conversione di Tiridate risalivano in effetti al tempo in cui, perseguendo le abitudini della sua indole perversa, Massenio (leggi Massimiano), diventato cesare (stiamo quindi intorno al 296), aveva preso a sottrarre le mogli ai mariti, le figlie ai genitori, le sorelle ai fratelli: chiunque, insomma, poteva solleticare la sua libidine. E tra costoro si trovò una giovane romana di grande bellezza; che, abbandonata la nobile casa paterna, si era ritirata in un convento di vergini solitarie, a vivere di verdure e casta fede, sotto la guida di Gaiana. Ora accadde che un bel giorno l’imperatore, desideroso di prendere moglie (scrive Agatangelo!), sguinzagliò pittori per ogni angolo dell’impero, affinché riproducessero fedelmente le fattezze delle ragazze più avvenenti. E questi, giunti anche al ritiro delle sante donne, colpiti dallo splendore raro di Hripsime, ne inviarono il ritratto al cesare.
Non appena Massimiano vi posò l’occhio, colto da subitanea lascivia, affrettò il giorno del possesso; e inviò ambasciatori e messaggeri per le contrade dell’impero, a chiedere doni per la cerimonia solenne con cui si apprestava a celebrare il matrimonio. Non appena le religiose intesero che l’assalto del diavolo contro la loro santità aveva eletto Massimiano come strumento della sua malizia, Gaiana e Hripsime, insieme alle altre compagne, premurose di salvaguardare il voto di castità, si diedero a pregare Dio con fervore. Dopodiché, per ispirazione divina, dapprima fuggirono verso l’Egitto; poi in Palestina; poi in Siria: e infine in Armenia, nella città di Vagharschabad, dove si disposero a vivere del lavoro sul vetro, che solo una di loro sapeva svolgere.
Sentendosi beffato, Massimiano si diede a rintracciare le fuggitive, e inviò dappertutto corrieri: uno dei quali giunse anche a Tiridate, che intanto aveva rafforzato il suo trono, e che si trovò un giorno tra le mani la missiva seguente.
“Dal Cesare Massimiano al nostro amato fratello Tiridate, nostro collega.
“La tua fraterna amicizia conosce già i danni che ci sono stati causati dalla perfida setta dei cristiani, poiché in tutte le cose la nostra maestà e il nostro governo sono stati disprezzati da loro. Essi non hanno alcun ritegno: adorano un uomo crocifisso; onorano un legno e persino le ossa di coloro che sono stati uccisi; pensano che sia una gloria morire per il loro dio. Sono stati condannati dalla giustizia delle nostre leggi, che essi insultano, e hanno tormentato i nostri antenati e predecessori. Sedotti da un ebreo crocifisso, insegnano a disprezzare i sovrani e le statue degli dèi; non hanno alcuna considerazione dell’influenza degli astri, del sole, della luna e delle stelle, che hanno escluso interamente dal loro culto; spingono le donne ad abbandonare i mariti e i mariti le mogli. E non è tutto…