Il ritiro di Diocleziano a vita privata non solo non aveva messo fine alle persecuzioni, ma le aveva rese più cruente, in particolare nelle regioni sottoposte al controllo di Galerio. Il nuovo imperatore, una volta scalato al vertice del potere, poté scatenare a piacere la sua frenesia di estirpare la detestata setta dei cristiani; e dappertutto si assisté a una recrudescenza incrudimento delle misure adottate contro di loro.
Finché aveva avuto sotto di sé solo l’Illiria e la Mesia, non gli era stato agevole incrementare il numero delle vittime, dove i convertiti erano meno che altrove. Ma allorché ottenne anche il governo d’Oriente, la loro massiccia presenza diede più esca alla sua crudeltà, estendendola alla Tracia, all’Asia, alla Siria, alla Palestina, all’Egitto. E l’indole sanguinaria, che ne aveva fatto il principale ispiratore della persecuzione, poté allora rivelarsi in tutta la sua ampiezza. Cosicché, persone di ogni rango, per sfuggire alla morte, furono indotte a cercare rifugio sotto i cieli meno tempestosi dell’Occidente; e dovranno affrontare ancora anni di sofferenze e supplizi, prima che una virulenta malattia convinca l’imperatore che gli sforzi del dispotismo non bastano a soggiogare il sentire religioso di un popolo.
Chi invece, dei quattro tetrarchi, evitò di macchiarsi dell’empietà dei massacri, per testimonianza non certo imparziale di Eusebio, fu soltanto Costanzo: il quale, per la mitezza del carattere, l’altezza della pietà, e la paziente indulgenza verso i sudditi, ne ottenne sempre l’affetto. Ché se sotto il maglio degli editti erano caduti anche funzionari di corte, Costanzo espulse dal palazzo piuttosto coloro che si piegavano ai sacrifici, dopo un’accurata selezione mediante un espediente sagace, per quanto apparentemente paradossale.
Avendo imposto a tutti gli ufficiali, compresi quelli superiori, l’alternativa tra sacrificare o astenersene, solo quando ognuno ebbe fatto la scelta, rivelò il segreto proposito dell’imposizione. E ritenendo che chi per timore si era falsamente condotto verso il proprio dio offriva poca garanzia anche a lui, li allontanò dalla corte; mentre invece, pensando che i fedeli al loro Dio avrebbero conservato il medesimo atteggiamento verso di lui, li sollevò a difensori della sua persona, e li trattò con l’occhio speciale riservato ai seguaci.
Ma se questa liberalità verso i cristiani, con tutte le riserve richieste dalla testimonianza non imparziale di Eusebio, toccava la persona di Costanzo, padre di quel Costantino di cui un giorno egli sarà entusiasta biografo, ben altrimenti andavano le cose con gli altri governanti, ai quali la longa manu di Galerio si protendeva con preoccupante disinvoltura. Come succedeva al cesare Massimino, nelle cui vene scorreva lo stesso sangue feroce dello zio protettore, e che volentieri ne assecondò l’inclinazione nella provincia egiziana. Dove, tra le numerose vittime, Eusebio annovera anche un martire, i cui atti sono lungi dall’essere accertati; anche se, insinua lo storico, le risposte brevi, la semplicità della narrazione, e il rispetto che personalmente provava verso di lui, gli parevano inoppugnabili ragioni di accredito.
Narra dunque Eusebio che il nobile Filoromo, che in Alessandria aveva ricoperto alte cariche, e che per via del suo rango si recava ogni giorno in tribunale con la scorta, caduto progressivamente in disgrazia, comparve infine davanti a giudice Culziano.
“Attenzione a quello che dici. Sii prudente?” esordì quest’ultimo minaccioso, dopo le consuete generalità.
“Prudente lo sono, e lo sono sempre stato!” ribatté fieramente Filoromo.
“E allora rendi sacrificio agli dèi, e non se ne parli più!” parve al funzionario la logica conclusione di un simile esordio.
“No!” fu invece la risposta recisa. Dio non reclama olocausti di montoni, agnelli, o sangue di capre.”
“E perché? Quale altro sacrificio richiede il tuo Dio?”
“Quello fatto con cuore puro e pensiero sincero. E io non intendo contaminare l’anima mia.”
“È dunque dell’anima che ti preoccupi?”
“Dell’anima, sì. E anche del corpo.”
“Bell’egoismo, mentre invece non ritieni di avere obblighi nei confronti di tua moglie e dei tuoi figli!”
“L’obbligo verso Dio precede tutti gli altri. Del resto, anche tra i pagani si trovano esempi di uomini che si sono presi cura dell’anima. Non è forse vero che anche Socrate, in punto di morte, non si lasciò affatto persuadere dalle suppliche della moglie e dei figli?”
“Socrate sapeva di essere di fronte alla Storia. Ma tu, invece, sei solo di fronte al fantasma di questo Cristo che consideri figlio di Dio. E quali prove ne hai?”
“Il fatto che ha restituito la vista ai ciechi, l’udito ai sordi; e che agli infermi bastava sfiorare la frangia del suo mantello per recuperare la salute.”
“Ma tu guarda! Lui che faceva tanti miracoli, e non ha saputo salvare se stesso! Ma perché mai, secondo te, un Dio avrebbe accettato di farsi crocifiggere?”
“Soltanto per amore. Solo per amore verso gli uomini, te compreso, ha accettato di soffrire ogni sorta di umiliazioni.”
“Fanfarone! Dunque è per seguire il suo esempio che vuoi morire anche tu? Pretendi di immolarti come lui per amore degli uomini, mentre non ne sai provare nemmeno per la tua famiglia?!”
“Non oserei mai, nella mia miseria, spingermi all’orgoglio di imitare il Maestro!”
“Allora vuoi morire senza motivo? Vedi, se tu fossi mosso dal bisogno e dalla povertà, io tenterei di risparmiarti. Tu invece sei un uomo ricco e onorato, e con i tuoi averi potresti sfamare un’intera provincia. Se a spingerti è il tuoi sedicente amore dell’umanità, pensa a quanto bene potresti fare!”
“A che serve fare il bene di molti, se perdo me stesso?”
“Tra questi molti ci sono anche tua moglie e i tuoi figli. Non contano dunque niente per te?”
A quelle parole, che sembravano riassumere l’intimo volere, la famiglia di Filoromo, i genitori e i parenti, premuti da tutta la città, si affollarono intorno a lui. La moglie e i figli gli baciavano i piedi piangendo, e implorandolo di vivere. Ma lui, saldo come una roccia che le onde battono invano, ignorò tutto quel trambusto, ascoltando altre voci, che non provenivano più dalla terra. E infine, esausto del colloquio, ma tetragono alla noia causatagli da quegli assalti, esclamò sospirando:
“Perché state inutilmente cercando di rendermi infedele a Dio? Perché insistete? I miei occhi non vedono le vostre lacrime, le mie orecchie non ascoltano le vostre parole. E io ormai sono già assorto nella contemplazione della gloria divina?”
“E allora ti sia resa la gloria dell’infamia!” urlò Culziano spazientito. E volgendosi disgustato, ordinò che fosse decapitato.