Di fronte alle stragi in famiglia ci chiediamo sempre solo: perché?
Carlo Lissi ha confessato il massacro di moglie e figli, dopo il quale è andato con alcuni amici, sabato notte, in un pub a vedere la partita della nazionale. Per Vincenzo Mastronardi, docente di psicopatologia forense all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, la strage di Motta Visconti (Milano) covava da tempo nella mente dell’omicida. “Può trattarsi di un immaturo –spiega il criminologo all’Adnkronos – proprio cioè di chi non ha maturato la completezza di essere padre e marito, oppure è un caso di anestesia affettiva, un disturbo di personalità che porta a non riuscire a valutare i sentimenti che un essere umano prova nei confronti dell’altro”. Per il criminologo del caso Cesaroni (delitto di via Poma), che ha redatto le perizie di Pietro Maso e Rudy Guede, “l’omicida avvertiva la necessità infantile di tornare ad essere libero. Voleva la possibilità di continuare a giocare in questo mondo con un perverso ‘big game’, l’omicidio, illudendosi che si potesse occultare quello che invece non può essere coperto”. “Quando Lussi ha ucciso i figli – spiega Mastronardi – ha provato un senso di liberazione: voleva tornare a giocare da solo. Attendiamo di conoscere meglio i particolari del caso, ma il fatto che l’uomo abbia sterminato la famiglia e poi sia andato a vedere la partita dell’Italia, dimostra quella insensibilità che è stata tracciata”.
Anche i luoghi, fa notare Mastronardi, come sempre hanno la loro importanza. Case o villette che da luoghi di affetti, confidenze e bellezza diventano tombe e teatri di violenza. Garlasco, Avetrana, Cogne, Erba: mura che parlano di sangue, dove chiudere un passato dal quale fuggire. “Nel momento in cui si decide di passare a nuova vita – è l’analisi del criminologo – scatta il meccanismo di chi vuole farla finita con il luogo dove si è abitato con una o più persone. Si pensa di chiudere un libro per aprirne un altro’’. “E quindi – conclude il docente di psicopatologia forense all’Università ‘La Sapienza’ di Roma – queste persone hanno bisogno di distruggere l’immagine di quella villetta o di quel luogo, per illudersi di ricostruire altrove. Non ci riusciranno mai’’. Non è, purtroppo, assolutamente la prima volta che ci chiediamo perché e come un uomo possa sterminare tutta la sua famiglia. E purtroppo non parliamo di un telefilm, dove almeno le ragioni delle azioni così crudeli li possiamo comprendere avendo seguito la storia dei personaggi. Parliamo dell’ennesimo caso in cui il padre di famiglia, Carlo Lissa, ha preso un coltello e dopo aver colpito alle spalle la moglie, uccide senza pietà la figlia di cinque anni e il figlio di 20 mesi. A parte la rabbia interiore che sentiamo di fronte all’immagine della scena in cui un uomo uccide una bambina di cinque anni e un bambino di 20 mesi, ripetendo che qui non si parla di un film, rimane sempre quella domanda che ci poniamo: Perché?
Ed è proprio questa la domanda che gli ha fatto anche sua moglie “Carlo, perché mi fai questo?”, domanda che lui ha ignorato continuando a sterminare la sua famiglia. Inimmaginabile anche come Carlo dopo il massacro abbia potuto fare una doccia per raggiungere poi gli amici in un pub, amici con cui aveva fissato per vedere la partita dei Mondiali tra l’Italia e l’Inghilterra. Solo all’alba del giorno dopo Lissa sarebbe crollato confessando: “Sono stato io, voglio il massimo della pena”. Quando non si è soddisfatti della propria vita, quando non si è contenti delle proprie relazioni, sembra che basti un coltello per eliminare quello che ci da fastidio, per cambiare la realtà. La realtà però non si può eliminarla e non si deve. Dove nasce questo senso di potere nei confronti degli altri, questa supremazia che autorizza a decidere quando la vita di un altro deve finire?
Non è molto soddisfacente la spiegazione di Mastronardi secondo cui “l’omicida avvertiva la necessità infantile di tornare ad essere libero”, ma forse non riusciremo mai a capire cosa può spingere un uomo ad uccidere la propria famiglia per una propria necessità, e parliamo di tempi in esistono altre vie d’uscita, come il divorzio che oggigiorno non è più un tabù o una cosa difficile da ottenere come lo poteva essere anni fa. A pochissimi giorni dalla strage di Motta Visconti ci sono stati altri due casi di femminicidio. Nel siracusano, a Canicattini Bagni, dove un 41enne romeno ha confessato di aver ucciso a colpi di piccone la moglie di 36 anni nella loro casa, al culmine di una lite per gelosia. E a Pietra Ligure, nel savonese, dove un 41enne ha ucciso a calci a pugni la convivente. Come un virus letale che sembra non aver fine, continuano queste morti inspiegabili.