Questo l’allarme lanciato da re Abdallah di Arabia Saudita
In assenza di una reazione “rapida”, i “Paesi occidentali saranno il prossimo obiettivo della minaccia jihadista”. Citato dal quotidiano saudita Asharq al Awsat e dalla tv satellitare araba al Arabiya, il sovrano saudita ha chiarito che “il terrorismo non conosce frontiere e i suoi pericoli possono colpire vari Paesi fuori dal Medio Oriente”, dove le milizie jihadiste dello Stato Islamico agiscono con feroce brutalità sui territori che hanno conquistato in Siria e in Iraq. Re Abdallah, che si è espresso in questo modo durante un ricevimento con i nuovi ambasciatori accreditati in Arabia Saudita, tra i quali quello degli Stati Uniti (alleati di Riad), ha aggiunto che l’inerzia di fronte a questo fenomeno “è inammissibile”. “Vedete come loro (i jihadisti) procedono a decapitazioni e fanno esibire ai bambini teste mozzate in strada”, ha ancora ricordato il re, sottolineando la “crudeltà” di queste azioni. “Non è un segreto per voi che hanno commesso queste azioni e vogliono commetterne ancora. Se fossero trascurati, sono sicuro che arriverebbero in un mese in Europa e il mese dopo in America”.
Solo un giorno prima di questa notizia era stata pubblicata la conclusione di un sondaggio americano secondo cui i democratici Usa temono più il cambiamento climatico che l’Isis. I sostenitori del Grand Old Party, invece, sono più preoccupati per il programma nucleare iraniano (una grave minaccia per il 74%, contro il 56% dei democratici), per la Cina come potenza mondiale (60% contro 43%), per il conflitto tra israeliani e palestinesi (60% contro 44%) e per gli altri gruppi islamici come al Qaida (80%-67%). L’unico punto su cui repubblicani e democratici sembrano in sintonia è quello sulle crescenti tensioni tra Ucraina e Russia, che preoccupano seriamente il 54% di entrambi i gruppi. Nel complesso, il 65% degli americani crede che il mondo sia oggi più pericoloso di alcuni anni fa; rispetto a dicembre, quando la situazione internazionale era più stabile senza il conflitto tra israeliani e palestinesi, la crisi ucraina e l’avanzata dell’Isis, è cresciuta dal 17% al 31% la percentuale delle persone che credono che gli Stati Uniti stiano facendo “troppo poco” per risolvere i problemi globali. Un dato che si ripercuote sul giudizio degli americani sul presidente Obama: il suo approccio alla politica estera e ai temi che riguardano la sicurezza nazionale “non è abbastanza duro” per il 54% degli intervistati.
Che la situazione in Iraq è però più che preoccupante lo sottolinea John Kerry, il segretario di stato americano, che lo scorso sabato ha chiesto che una coalizione globale combatta le milizie jihadiste dello Stato Islamico e la loro “agenda di genocidi”. Frasi che sono arrivate mentre in Gran Bretagna le autorità hanno innalzato il livello della minaccia terroristica, per il timore di possibili attacchi jihadisti. E in Siria, sono scoppiati scontri tra i caschi blu filippini e un altro gruppo jihadista, il Fronte al Nusra, legato ad al Qaida. In un articolo sul New York Times, una settimana prima il vertice della Nato in Galles, Kerry ha sollecitato “una risposta unita guidata dagli Stati Uniti e una coalizione di nazioni il più ampia possibile”. Ha aggiunto che lui e il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, incontreranno i loro omologhi europei a margine del vertice per ottenere assistenza, poi andranno in Medio Oriente per costruire sostegno “tra i Paesi che sono più direttamente minacciati”. Il presidente americano, Barack Obama, ha ammesso che Washington non ha ancora una strategia per arginare lo Stato Islamico, che ha proclamato un califfato in vaste zone dell’Iraq e della Siria sotto il suo controllo. Kerry ha però indicato che gli Stati Uniti proporranno un piano di azione al vertice del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a settembre, quando Washington sarà presidente di turno. “Quello che è necessario per affrontare la sua visione nichilistica e la sua agenda di genocida è una coalizione globale che ricorra agli strumenti politici, umanitari, economici, di polizia e intelligence per sostenere la forza militare”, ha detto Kerry secondo l’AFP.
Intano in Iraq decine di donne yazide catturate dallo Stato Islamico sono state costrette a convertirsi all’islam e poi “vendute” per sposare con la forza combattenti dell’organizzazione jihadista. Lo Stato Islamico, che semina il terrore nei territori che controlla in Iraq e in Siria, “ha ripartito tra i suoi combattenti trecento ragazze e donne della comunità yazida, che erano state rapite in Iraq in queste ultime settimane”, ha spiegato l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Osdh). “Tra queste trecento donne, almeno 27 sono state ‘vendute e sposate’ a membri dello Stato Islamico nelle province settentrionali di Aleppo e di Raqa e in quella di Hassaka (nordest)”, ha spiegato l’ong, che dispone di una larga rete di fonti civili, sanitarie e militari in Siria. “Ogni donna è stata venduta in cambio di mille dollari, dopo essere stata convertita all’islam”, ha precisato.