“Vogliamo democrazia e voto libero”
Sono decine di migliaia le persone che sabato notte si sono riunite attorno alla sede del governo di Hong Kong, in una massiccia dimostrazione di sostegno alla protesta democratica in corso. “Quello che vedete qui a Hong Kong è la più pura forma di coraggio che vedrete sul nostro pianeta, è il coraggio che cambierà la politica di questo paese”, ha dichiarato il deputato Dennis Kwok, del partito Civico, in un discorso ai manifestanti.
Secondo quanto denuncia Amnesty International almeno 20 attivisti per i diritti umani sono stati arrestati a Pechino, Guangzhou e Shenzhen, città situate nel sud del paese, vicino alla frontiera con Hong Kong, dopo che questi avevano espresso sostegno alle proteste. Altri 60 attivisti sono stati interrogati o minacciati. Questi arresti confermano “perché tante persone ad Hong Kong temono il crescente controllo centrale”, afferma William Nee di Amnesty chiedendo il rilascio “immediato e senza condizioni” degli attivisti ed esortando il governo di Hong Kong a non seguire l’esempio di Pechino e di rispettare il diritto di riunione e di espressione. Intanto, dopo la chiusura di tutti i social, da Facebook a Youtube, l’app FireChat sta diventando lo strumento ‘principe’ dei manifestanti. Spesso confusa come una semplice alternativa alle più note Whatsapp e WeChat, il sistema di messaggistica istantanea e anonima consente infatti, attraverso dei ponti tra gli smartphone, di comunicare senza connessione a Internet sfruttando sistemi Bluetooth e Wi-fi. I manifestanti chiedono che Pechino ritiri le limitazioni che ha deciso di imporre alle prossime elezioni del capo del governo della Speciale Regione Amministrativa (Sar) di Hong Kong, una creatura nata negli anni Ottanta da un compromesso tra l’allora leader cinese Deng Xiaoping e la premier britannica Margaret Thatcher per garantire un passaggio indolore della sovranità dalla Corona Britannica alla Cina. La richiesta rimane ed è fortemente in dubbio che un licenziamento di Cy Leung e Zhang Xiaoming, due figure sicuramente impopolari, possa servire a riportare la calma.
Lester Shum, vice segretario della Federazione degli studenti, ha detto che il movimento è pronto ad accettare ogni opportunità di dialogare con il governo centrale di Pechino, ma Leung deve andare via. Il capo del governo locale, che aveva risposto con un muro alle richieste dei dimostranti, il primo ottobre, festa nazionale cinese e 65esimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare, ha presieduto le celebrazioni della festa, brindando con lo champagne alla bandiera cinese, mentre migliaia di dimostranti fischiavano e protestavano fuori dall’edificio. La Cina, alla quale il Regno Unito ha restituito Hong Kong nel 1997, aveva annunciato, lo scorso mercoledì, che il futuro capo dell’esecutivo locale sarà eletto a suffragio universale nel 2017, ma che solo due o tre candidati, selezionati da un comitato, potranno presentarsi alle elezioni. A luglio mezzo milione di persone erano scese in strada per protestare contro la crescente influenza di Pechino su Hong Kong.
Intanto lunedì mattina si è respirato un’atmosfera di relativa tranquillità ad Hong Kong, dove i manifestanti sembrano ormai aver optato per una mobilitazione generale, senza aver ottenuto praticamente alcuna concessione dalle autorità. Al termine della notte più calma dal 28 settembre, gli abitanti dell’ex colonia britannica sono tornati questa mattina al lavoro, quasi tutte le scuole hanno riaperto e la circolazione sembra aver ripreso i ritmi normali. Nel quartiere di Admiralty, dove ancora centinaia di studenti hanno trascorso la notte accampati, gli impiegati del palazzo di governo, inaccessibile da venerdì scorso, hanno potuto riprendere il lavoro. Anche la Borsa di Hong Kong ha aperto quasi in equilibrio questa mattina, trainata dai solidi dati statistici degli Stati Uniti e dai segnali di distensione all’interno.