Minivocabolario di Paolo Tebaldi
La parola «voto» indica, per la religione, un impegno con cui un credente rinuncia a qualcosa in cambio del raggiungimento di precisi desideri o aspettative. Nel grande Dizionario Italiano dell’Uso, Tullio De Mauro, scrive: «promessa solenne di compiere un determinato atto di culto, di carità o di rinuncia o di donare ad un santuario un determinato oggetto in segno di riconoscenza per una grazia ricevuta o per ottenere la liberazione da un male». Il sinonimo «fioretto» è un’espressione gentile, in contrasto con certi giuramenti ferrei, al limite del masochismo. Si pensi, per esempio, al voto di castità, adottato dai preti come condizione sacerdotale in stato di celibato e di purezza o assunto con coraggio da chi, con la speranza di raggiungere certi obiettivi, si sottrae temporaneamente ai piaceri della carne, o a quelli del cibo, di prelibati piatti della migliore gastronomia nostrana. Francamente, si tratta di una tipologia di propositi mai presi in considerazione da chi scrive.
In senso più generale il vocabolo «voto» esprime la volontà di un cittadino di partecipare alla vita pubblica circa lo sviluppo sociale ed economico dello Stato scegliendo propri rappresentanti a ricoprire cariche nelle istituzioni, nelle assemblee di Montecitorio e di Palazzo Madama, nell’Amministrazione territoriale per il governo del Paese o degli Enti locali. Il voto ha segnato per molti secoli una discriminazione di stampo maschilista a danno delle pari opportunità tra i generi.
Nella tollerante, democratica, ricca Svizzera, il diritto di voto e di eleggibilità a livello federale fu ottenuto dalle donne soltanto nel 1971. Mentre nell’Italia individualista, provinciale e opportunistica l’altra metà del cielo poté recarsi alle urne per la prima volta in occasione del Referendum del 2 giugno 1946 quando il popolo preferì la Repubblica alla Monarchia, Due anni dopo le Nazioni Unite sancirono il suffragio femminile con la Dichiarazione dei Diritti Universali dell’uomo.
Sono molteplici i termini legati alla parola in questione: voto deliberativo, consultivo, utile, tecnico, di fiducia, di sfiducia, di scambio. Il voto segreto, grazie al quale deputati e senatori si sentono liberi di comportarsi senza vincolo di mandato e quindi non in ossequio alle decisioni dei partiti di appartenenza, ha riservato non poche sorprese. Casi eclatanti si sono registrati nell’aprile del 2013 quando furono beffati Franco Marini e Romano Prodi, proposti come possibili papabili per il Quirinale. Artefici della stroncatura i cosiddetti franchi tiratori. Il 19 aprile, alla quarta votazione, avvenne la carica, o meglio, la scarica dei «101» (si presume tutti del PD) che mise fuori campo per sempre l’ex Presidente del Consiglio, leader dell’Ulivo. Strana genesi lessicografica quella della voce Franchi tiratori. Erano così denominati quei gruppi volontari di soldati impegnati a difendere la Francia dalle invasioni del 1792 e del 1814. Come poi, nel moderno linguaggio giornalistico, i «franchi tiratori» si siano trasformati da eroi in traditori, cecchini, personaggi infidi e sleali, è un vero mistero. Infine, ricordiamo il voto per corrispondenza. La Legge 459/2001 permette ai connazionali residenti all’Estero e iscritti all’AIRE di esercitare il diritto di elettori alle consultazioni nazionali e per i Referendum abrogativi e confermativi o recandosi in Italia o esprimendo su una lista da spedire per posta al consolato di riferimento, la preferenza per propri rappresentanti, anch’essi residenti fuori dei confini della patria, che, una volta nominati, siederanno nelle aule del nostro Parlamento.
Il voto per corrispondenza vale anche per l’elezione dei Comites (Comitati degli Italiani all’Estero), il cui rinnovo è stato fissato dal Governo per il prossimo 19 dicembre con tempi cortissimi e modi operativi a dir poco scandalosi e inaccettabili. Personalmente sono dell’avviso che i Comites, nonostante limiti, carenze, confusione di ruoli e difficoltà finanziarie, siano organismi utili e necessari di rappresentanza democratica degli interessi degli emigrati. Ma entriamo in una problematica troppo importante perché possa essere trattata esaurientemente nel breve spazio di questa rubrica.