Ha sparato all’impazzata sui commilitoni gridando “Allah Akbar” (Dio è grande), il medico dell’esercito Nidal Hasan che ha ucciso 13 persone e ne ha ferito altre 30 nella base militare più grande d’America, a Fort Hood (Texas). A bloccare l’autore della strage, nato in Virginia ma di origine palestinese, che stava per essere inviato in Afghanistan contro la propria volontà, è stata la poliziotta Kimberly Munley, accorsa nel giro di pochi minuti nel centro medico della base dove è avvenuto il massacro.
La donna ha estratto la pistola e centrato con quattro proiettili lo psichiatra dell’esercito, restando a sua volta ferita nella sparatoria. Nella confusione seguita alla strage le autorità militari avevano dato per morti sia il medico che la poliziotta, che sono invece in un ospedale del Texas, feriti ma in condizioni stabili. Il presidente Barack Obama ha dichiarato il lutto nazionale, con le bandiere a mezz’asta alla Casa Bianca e negli altri edifici federali, ammonendo nello stesso tempo a non “giungere a conclusioni affrettate” sui motivi della strage finché l’inchiesta non avrà raccolto più elementi.
Il maggiore Hasan era giunto a Fort Hood da sei mesi, in vista del suo invio in Afghanistan, dopo avere lavorato per sei anni all’ospedale militare Walter Reed (alla periferia di Washington) dove transitano gran parte dei soldati feriti nei combattimenti in Iraq e Afghanistan o sofferenti di depressione post traumatica.
All’ospedale Reed lo psichiatra, di fede islamica da sempre, aveva ascoltato dai soldati reduci dalla guerra i racconti delle loro esperienze orribili. “Il suo incubo era quello di essere inviato a sua volta in Iraq o in Afghanistan”, ha raccontato un familiare; era contro queste guerre”.
Dopo la strage dell’11 settembre la sua origine medio orientale lo aveva reso bersaglio di sarcasmi e diffidenze da parte di alcuni dei suoi commilitoni.
Hasan si era rivolto ad un avvocato per esaminare la possibilità di lasciare la divisa che aveva indossato fino a quel momento con molto orgoglio.
Tornando alla sparatoria, essa è divampata al centro medico della base dove i soldati che stanno per essere inviati in prima linea si sottopongono a test e visite sanitarie.
Il maggiore dell’esercito, armato con due pistole (non militari), ha aperto il fuoco in modo indiscriminato sui gruppi di militari disarmati che affollavano l’edificio.
Il luogo è diventato una scena di guerra, con morti e feriti ovunque e con i superstiti impegnati ad usare le istruzioni ricevute per la prima linea per tamponare il sangue e le ferite delle vittime.
I medici degli ospedali dove sono stati trasportati i 30 feriti hanno detto che circa metà delle vittime hanno avuto bisogno di interventi chirurgici. Diverse vittime erano state colpite da più proiettili. “Sono giunte persone con ferite alla testa, altri erano stati colpiti al petto, alla schiena o alle gambe”, ha detto un medico dell’ospedale.
Gli inquirenti non hanno ancora potuto interrogare, date le sue condizioni, l’autore della sparatoria. La famiglia di Hasan ha diffuso una dichiarazione: “Amiamo l’America. Siamo in stato di shock e rattristati davanti ai terribili avvenimenti di Fort Hood”.
L’indagine è chiamata a rispondere soprattutto all’interrogativo se lo psichiatra dell’esercito abbia agito per motivi religiosi – aveva più volte espresso la sua opposizione alle guerre contro i “fratelli musulmani” – o per la somma delle esperienze traumatiche accumulate ascoltando gli orrori di guerra narrati dai soldati tornati dall’Iraq e dall’Afghanistan.
Il medico che doveva aiutare i soldati a superare questi traumi è caduto a sua volta nel baratro di un mondo senza speranza.
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