Alla Casa d’Italia, a Berna, la serata commemorativa in onore di Emirano Colombo
Alla ricerca della memoria. Di un passato che sta dentro noi. Vissuto da migliaia di giovani costretti a prendere la via dell’emigrazione, in uno dei periodi più oscuri della storia repubblicana. La Patria viveva il tempo della povertà e della ricostruzione. I più coraggiosi, spinti dal coraggio di osare, riprendevano le vie del mondo, come per secoli fecero i loro avi, andando a scoprire le terre aldilà delle alpi e del mare. Già: che cosa sei venuto a fare ragazzo calabro, veneto o dell’agro pontino? Non stavi bene, laggiù, tra i tuoi cari?
È la storia di tanti protagonisti dell’esodo di massa del dopo guerra italiano. Una ferita scolpita nella pelle di milioni di uomini e donne, dei cui destini, il nostro popolo ha smarrito l’epopea e la memoria. Penso a tutto ciò spesso e in particolari momenti. Al sentimento smarrito del ragazzo che sta avvinghiato a sua madre nel saluto al padre in partenza per la traversata oceanica verso le lande del Queensland australiano. È storia mia. Di tanti che hanno condiviso lo stesso destino. Sto andando a Berna. Un’occasione speciale che riassume tanto di ciò che ho scritto. A Berna, alla casa d’Italia, il luogo in cui la diaspora italiana ha vissuto i momenti più intensi della sua vicenda, storica e umana, nella Confederazione Elvetica. Si inaugura la sala in onore del presidente, Emirano Colombo, recentemente scomparso. Da decenni, uno stimato dirigente dell’emigrazione. Un costruttore di ponti di convivenza e solidarietà: tra i connazionali; i cittadini svizzeri; uomini e donne di altra nazionalità o provenienza.
E in periodi in cui, se tendevi la mano in segno d’amore, sentivi spesso il gelo del rifiuto e del disprezzo. Con lui e tanti altri, pur impegnati in campi diversi, vincemmo la sfida della pari dignità, meritandoci il rispetto di un popolo che imparò a comprendere i sentimenti e le passioni della nostra gente. Come disse, Max Frisch, a commento della sconfitta della cultura xenofoba e razzista: abbiamo compreso di non aver accolto solo braccia di lavoro, ma persone ricche di forti sentimenti umani e solidali. Ci divideva la militanza di parte. Ci univa quel sentimento antico d’amore verso chi ha bisogno. Mi scuserà, chi legge. Di fronte alla grandezza dell’evento, non trovo parole all’altezza.
Vedo una grande folla convenuta all’avvenimento. Colgo in tutti un sentimento di orgoglio. Di essere qui a onorare un amico con cui hanno convissuto un lungo periodo della loro vita. Al presidente, Cosimo Titolo, l’amico e compagno di tante lotte, il compito di aprire la serata. Parlargli come se, Emirano, fosse ancora lì. Come usava con il suo fare gentile: per porre un problema, esprimere una idea, indicare un cammino. Comprendo, caro Cosimo, la commozione e la mano tremante sono i sintomi di un sentimento vero dal profumo antico. E non poteva che essere l’Ambasciatore d’Italia, Cosimo Risi, che, presenziando all’avvenimento, ha trovato le parole vere per concludere la serata. Riaffermare il valore di una comunità italiana che ha saputo meritare e realizzare un sogno: vivere da protagonista e pienamente inserita nel mondo elvetico, in cui occupa posizioni importanti in ogni settore: culturale, economico e sociale. Ho portato un saluto: Ho espresso il rammarico sincero per la perdita di una persona, di un dirigente di cui non mi fu possibile una più assidua collaborazione. Mi colpì sempre un suo modo di fare: non alzava mai la voce. Rispettava gli altri ed era rispettato.
Mi avvicinano anziane signore per dire una parola, esprimere un pensiero. Volevamo tanto bene al nostro Eridano, dicono. E ascoltandoti, ci siamo di nuovo commosse. Vi avrei voluto abbracciare, condividere il rimpianto e il dolore. Chissà? Anch’io, e con poche parole, ho saputo parlare ai loro cuori. Il tempo per la posa della targa commemorativa in onore del presidente Emirano Colombo. È la fine. Giles Colombo, attorniata dalle figlie, riceve l’omaggio della collettività. La scomparsa del loro amato ha lasciato un vuoto incolmabile. L’eternità, in fondo e per chi resta, è il ricordo del tanto vissuto. Del bene che si è fatto. Di un seme gettato perché perpetui un vero sentimento d’amore. Una targa. Una scritta. Una vicenda. Una passione. Un impegno. Un cuore generoso. Una vita: la storia di un uomo che ha lasciato un buon nome.