Si trattasse del solito capitolo, questo sarebbe il 300˚. Un record da festeggiare. Cosa che non mancherò di fare in privato, con le persone che mi sono vicine o che mi seguono con entusiasmo e attenzione. In questo numero sostitutivo, invece, vorrei stendere qualche considerazione sull’effetto “Declino”, ormai giunto al quinto volume, anche in vista della presentazione del primo, appena uscito in libreria
Tagliare il traguardo di 300 numeri con un romanzo storico, se non è un primato, rappresenta una tappa notevole, inconsueta, non alla portata di tutti. Accanto al “Mulino del Po” e all’”Orcynus Orca”, si tratta, a mia conoscenza, di uno dei più lunghi romanzi della letteratura italiana; e sarà in assoluto il più lungo, se riuscirò a completare i prossimi cinque volumi. Va da sé che la lunghezza di un libro non ne determina automaticamente la qualità: ma se la sua qualità, si duplica della quantità, ne scaturisce un mostro di non trascurabile corposità. Certo è, comunque, che da otto anni la mia modesta effigie compare regolarmente sulla “Pagina”; e per via della cospicua tiratura del giornale, il mio grugno sarà passato sotto migliaia di occhi, indifferenti, simpatizzanti, ostili, malevoli. In un mondo all’insegna della visibilità, potrei dirmi soddisfatto, se non fosse che… Se non fosse che le cose non stanno proprio così. In effetti, soprattutto nell’ambiente zurighese, dove la mia fisima letteraria e la mia attività scolastica sono piuttosto note, potrebbe accadermi più frequentemente di essere abbordato da conoscenti, ammiratori, o famuli. Ma così non è. Come mai? Come mai la mia figura letteraria somiglia tanto a un ectoplasma, e anche coloro che mi conoscono perfettamente, evitano accuratamente di fare riferimento alla mia opera? Perché la circonda tanta reticenza di imbarazzo, al punto da farmi sospettare, per oggettivo riscontro, una sorta di tacita omertà?
Malgrado la durata, la qualità, la complessità delle tematiche, l’audace scavo psicologico, l’intelaiatura filosofica e il rigore della scrittura, solo pochi si sono accorti (o fingono di non essersi accorti) dell’operazione di questo romanzo, meritevole, si direbbe, più di ostracismo che di rispetto. La maggior parte delle persone che conosco, in effetti, evita cautamente di alludervi. La pagina 14 del giornale, in cui il romanzo appare regolarmente, dev’essere composta di una fibra diversa dalle altre, che la rende piuttosto trasparente, se viene “saltata” con disinvoltura: a meno che qualcuno, anche questo è successo, non la corredi di ingiurie e insulti di non eccelsa castità, che denunciano solo la miseria di chi non si accontenta di ignorare, ma sente l’impellenza civica di vituperare.
Dopo lungo tentativo di spiegarmi le ragioni di questo silenzio, a qualche conclusione sono giunto; e mi perdoni il lettore fedele o partecipe, se si sentirà tirato in causa dall’amaro vezzo di togliermi il classico sassolino dalla scarpa. Eh sì, dopo che da anni (e non mesi!) il romanzo compare, dovrà pure esserci qualche logica se di esso non si parla, e vi sia calato intorno, per le concomitanze più disparate, una congiura del silenzio. Se fossi stato semplicemente paranoico, avrei denunciato già da tempo l’anomalia. Ma al punto in cui sono, mi piego appena a rilevarla. E pensa e ripensa, un paio di risposte me le sono date. So che qualcuno se ne risentirà. Ma procacciarmi altri nemici non può nuocermi più. Ignorarmi, o denigrarmi, non limiterà in nulla la mia facoltà creativa, di cui ho già dato abbondanti saggi; e casomai irriderà alla miopia o alla viltà di chi, senza capienza di discernimento, “sa” riconoscere solo il valore di un pivellino gratificato da un premio letterario o da un’apparizione televisiva.
E veniamo quindi alle mie arbitrarie supposizioni sul “mostro trasparente”. Perché, se è pur vero che Habent sua fata libelli, talvolta non è empio incriminare anche il “fato”. Darò quindi di seguito alcune ubbie che possono aiutare a svelare questo quesito di fisica “corpuscolare”, per cui i lettori che divorano le colonne di gossip o di cronaca, giunti all’incriminata pagina 14, o la intravedono giusto per capire che devono saltarla; o la vedono, e accuratamente procedono oltre; oppure la percorrono, ma evitano di alludervi. Come mai? Si tratta di una lettura tanto penosa o disdicevole, di cui vergognarsi? Nel mio striminzito spettro di penetrazione, non una ragione mi è parso di poter additare, ma “una molteplicità di causali convergenti”, come amava esprimersi l’Ingravallo di gaddiana memoria, e che qui di seguito cercherò di elencare (con errore per difetto).
Tempo
Premettendo che ogni persona ha il sacrosanto diritto di non leggere o di leggere quello che vuole, capisco che lo stress odierno ci rende così frettolosi, che non abbiamo più l’agio di spendere cinque minuti a settimana su una vicenda che non accenna a terminare, e che minaccia di perdurare ancora a lungo. Le ore dedicate al cinema, ai viaggi, alla cucina, al teleschermo, all’ipad, alla navigazione, agli sms, alle ciarle climateriche, o al sano e stravaccamento catatonico, reclamano un’improcrastinabile dedizione, e non resta più testa per le fandonie di un visionario. Ottimo argomento. Ineccepibile!
Disagio
Alcuni lettori, confrontati con un periodo storico di cui non sanno nulla, provano disagio, non dico nel criticare, ma persino nel chiedere, perché la domanda tradirebbe la loro (non richiesta) scarsa competenza. Ed è meglio evitare di… fare brutta figura. Se il libro però è “trasparente”, il problema di non si pone.
La Pagina
Eh sì, il romanzo esce su questo giornale, e chi non simpatizza con esso automaticamente non simpatizza con me: come se un romanzo, per il fatto di apparire qui, tradisse una tendenza politica esecrabile per le parrocchie rivali. Il che conferma solo il settarismo manicheo di chi divide il mondo in buoni e cattivi (e va da sé che i cattivi sono gli altri!).
Lunghezza
Il fatto che il libro esca da molti anni, ha creato una consuetudine, come l’aria che non ci si accorge di respirare, o come una calamità impossibile da evitare. Molti lettori della prima ora, saltando qualche capitolo, hanno perso il filo; e i nuovi eventuali, pur ben intenzionati, non saprebbero da dove incominciare. Eppure, con una certa regolarità ho pubblicato dei sunti; e inoltre, non trattandosi di un poliziesco, qualche numero perso non dovrebbe compromettere la comprensione dell’insieme, in un romanzo in cui l’intreccio ha un ruolo secondario.
Difficoltà
Ma qui sorge un altro problema. Il romanzo è troppo difficile. Dio bono! Ma è possibile che qualche decennio di appiattimento mediaset abbia tolto agli italiani la facoltà di leggere qualcosa che appena si sollevi sulla becera coprolalia del parlato? Possibile che uno scrittore, per essere tale, deve esprimersi “come mangia”, e, se vuole essere letto, deve immiserire lingua e tematiche a fattacci di cronaca colorati di turpiloquio, ad uso del popolo? Ma di quale popolo stiamo parlando? Dei semianalfabeti di ritorno? E se esso capisce agevolmente i vituperati fotoromanzi di una volta, e le sognanti fantasie di trecento vocaboli, a questo dovrebbe mirare la scrittura, per essere gustata? Vorrà dire, se così è, che mi rifarò con gli intellettuali dal palato fino. Ma ahimè, ché qui casco di male in peggio!
Intellettuali
Innanzitutto mai un accademico si degnerebbe di considerare un’opera che appare su un giornale di “emigrazione”. Roba per buoi e per palati rozzi; mentre i gourmets dal palato fino, coloro che pure avrebbero gli strumenti, sono i primi a non leggermi. Sì, perché gli intellettuali dal palato fino, che poi tanto fino non è, se sono in adorazione del santificato, del riconoscimento prestigioso, o della recensione di un critico affermato, non sono in grado di valutare autonomamente, mentre sanno sciogliere lodi alla balbuzie di scrittorucoli multipremiati. Così, nel mio caso, quella stessa lingua che spaventa il lettore incolto, e che potrebbe gratificare quello colto, viene pretestuosamente bollata come aulica, ipotattica, e lontana dalle sgrammaticature e dalla povertà lessicale che i “maestri” hanno appreso dalla massa.
Temi
Come sarebbe invece più leggibile una storiella lineare che narra di un trasloco o di una passeggiata per le vie della città, piuttosto che una torsione stilistica e filosofica sul destino dell’uomo. Ma sì, certo, si sa: tutto è già stato detto dai grandi classici; e ai noi tapini resta soltanto la vulgata catodica e l’assuefazione al basso; così che, chi appena tenta uno slancio meno impeciato, risulta un retorico riciclatore (fermo restando che, modelli per modelli, meglio eleggere un incommensurabile Proust o un Musil, piuttosto che un Barocchetto o una Marainetta.)
Invidia
Ma mentre vaneggio, a tradimento un dubbio m’assale. Che si tratti solo di invidia?! Ma stiamo scherzando? Invidia di che, piccolo presuntuoso che sono! E dovrebbe un romanzetto, di cui ognuno, volendo, sarebbe capace di fare meglio, suscitare invidia in chi? Mah, forse negli aspiranti falliti, negli invertiti dello spirito, nei velleitari del “domani farò”, nei lividi programmatori di progetti nemmeno iniziati. Invidia per una prosa artificiosa e pretenziosa come la mia? Ma per carità! Intanto però la mia opera esiste: eccome!
Nemici
Non ne avrei bisogno, ne ho già tanti. Ma, ingerito l’ostracismo, paradossalmente potrebbe giungermi qualche forma di solidarietà. Il resto, se sarà il caso, lo racconterò a coloro che gentilmente vorranno prendere parte alla presentazione del primo volume, che avrà luogo a Winterthur, come da locandina qui sotto. A presto!