Una task force composta da Asl, Procure e Forze dell’Ordine contro la violenza che colpisce ogni anno in Italia le persone fragili o vittime di omofobia. Donne soprattutto, ma anche bambini, anziani, diversamente abili. Almeno tre milioni di cittadini indifesi, dice la somma di vari studi pubblicati in materia. L’operazione antiviolenza annunciata dalla Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali ha già un nome, ‘Codice Rosa Bianca’, il progetto che da quasi cinque anni è realtà nella Asl 9 di Grosseto e che ora la stessa Federazione promette di esportare in tutta Italia, grazie a un protocollo sottoscritto con l’Azienda toscana, che farà da capofila per le altre Asl.A spiegare come funziona ‘Codice Rosa Bianca’ è la dottoressa Vittoria Doretti, dirigente medico anestesista, ‘madre’ del pronto intervento anti-violenza destinato ora a diventare realtà in ogni Azienda sanitaria. “Il problema dell’assistenza e delle denunce – spiega – parte proprio dalla trincea dei pronto soccorsi, perché quando ci si rivolge alle Forze dell’Ordine, ai consultori o ai centri anti-violenza si ha già la coscienza di essere vittima di violenza. Ma così non è nella stragrande maggioranza dei casi, i milioni di abusi fantasma, che restano senza denuncia ogni anno e che lasciano le vittime sole con il loro dolore”.
Per questo il lavoro della squadra, che a Grosseto è composta da 40 persone tra medici, sanitari, forze dell’ordine, volontari, psicologi e assistenti sociali, comincia da subito, dalla fase di accoglienza al pronto soccorso che i tecnici chiamano ‘triage’. Quando il paziente risponde alle domande di un infermiere specializzato, che assegna il codice di gravità, bianco, verde, giallo o rosso che poi darà seguito all’intervento sanitario vero e proprio. “Qui il personale opportunamente formato a riconoscere i segnali di un trauma da abuso – spiega Doretti – capisce quando è necessario assegnare anche un altro codice. A quel punto si avvia un percorso basato sulla semplificazione delle procedure e il dialogo tra le parti, con una attenzione particolare alla tutela della riservatezza”.
“La sospetta vittima – aggiunge Doretti – viene accompagnata in una stanza dedicata che garantisce tranquillità ed è dotata di tutto ciò che si rende necessario per la visita e l’eventuale accesso in borghese di polizia o carabinieri, per raccogliere testimonianza o denuncia. Qui personale medico e infermieristico, con alle spalle una solida formazione e continui aggiornamenti, arriva già informato di tutto quanto dichiarato in sede di accoglienza al Pronto soccorso, così come ogni successivo specialista”.
Questo per impedire “lo stillicidio di domande ripetute all’infinito che acutizzano il trauma o anche solo per far sì che la vittima non debba sentir dire ‘questo non è di mia competenza’”, spiega Doretti. Tutto senza mai esercitare pressioni sulla vittima, che non resta mai sola e che, se necessario, già qui fissa il primo appuntamento al consultorio o con un assistente sociale. L’assistenza psicologica scatta invece nella presa in carico successiva, dove entrano in gioco anche i centri anti-violenza o altre associazioni di aiuto.
“Un percorso a costo zero, che ha consentito di far emergere 450 casi di violenza sessuale e domestica l’anno, contro gli appena due casi in tre anni segnalati prima del 2009. Un andamento che si è ripetuto anche negli altri pronto soccorsi della Toscana, dove il progetto è attivo dal 2014”, spiega il direttore generale della Asl di Grosseto, Fausto Mariotti. Che ricorda anche l’impegno profuso dall’Azienda per formare la task force, “soprattutto nella comunicazione e la relazione con la persona abusata, sia adulta che minore”.
Fonte: Adnkronos