Già abbiamo visto che quando Costanzo aveva lasciato Elena per sposare Teodora, al di là del significato politico del suo atto, ignorava di aver gettato nella sua stretta cerchia familiare le premesse per una serie di delitti e imprevisti. Ma ora è necessario spingerci un po’ oltre quella cerchia, per vedere cosa si agitava, nel suo ultimo anno di vita, per alcuni personaggi già noti. Che, benché lontani dallo scacchiere che ci ha tenuto finora occupati, non hanno smesso di muoversi secondo linee che un giorno, come un ruscello che scorre in sottosuolo, affioreranno imprevedibilmente nei momento e nei luoghi meno attesi. Figure stavolta che, al contrario dei rampolli di Costanzo, che si profileranno col loro strascico di dolore soltanto in anni a venire, abbiamo già avuto modo di conoscere. E che attualmente sono uscite di scena, alcune in maniera definitiva, altre ancora pronte a balzare alla ribalta: ma tutte assecondando l’oscillazione di una Storia che atterra e solleva; e delle quali, per una migliore comprensione della nostra vicenda, occorre dare qualche ragguaglio.
Che Costanzo e Galerio, dopo l’abdicazione di Diocleziano e Massimiano, fossero balzati in primo piano, data la loro precedente nomina a cesare non aveva sorpreso nessuno. Ma ben più celermente era scattata l’epifania per i loro vice Severo e Massimino, e che aveva suscitato non poche perplessità: sia nei sudditi che in Costantino e Massenzio, per prestigio o ambizione custodi di qualche pretesa. Per loro l’antico adagio, per cui nel conclave taluno entra papa ed esce cardinale, va corretto nel senso che certi cardinali non necessariamente scompaiono; e, invece di rassegnarsi alla sconfitta, con determinazione riprendono a tramare per il primato. Giacché i capricci della fortuna sono di tal fatta che dall’ombra si può d’un colpo emergere, come vi si può, altrettanto repentinamente, precipitare.
Basti considerare, a mo’ di piccino esempio, il divenire del balletto mediatico nostrano. Dove burbanzosi gradassi, dopo aver svolto ruoli di “indubbio” prestigio, esibiscono all’anonimo spettatore il crisma della loro potenza, comparendo ubiquamente sugli schermi, inossidabili di presunzione: finché un giorno, per misterioso ruzzolone, scompaiono dall’orizzonte. Né lo spettatore se ne stupisce subito, non essendosi ancora accorto che quello è l’inizio della fine; e se ne va a letto solo col curioso malessere di non aver ricevuto da quella cara larva la garanzia che l’ordine del mondo non è sconvolto. E a conciliarsi il sonno si consola al pensiero che l’indomani ritroverà il volto amico con l’indefettibile certezza di un fenomeno astronomico. Ché se poi questo non dovesse accadere, una ragione ci sarà, e presto quel vuoto sarà colmato.
Quando poi, dopo un mese di astinenza, lo spettatore, che già intanto si stava assuefacendo ai nuovi spavaldi, in un rigurgito di nostalgia realizza che il suo antico simpaticone non è apparso da un po’ nella consueta come nell’inconsueta trasmissione, lo fa giusto per scrupolo statistico. Forse è malato, si rassicura; forse è all’estero, o in chissà quale delicata missione. Ma poi passa ancora un mese: e se casualmente ne ode il nome in un’intervista al rivale, o nell’autoelogio di un sodale, si compiace di saperlo vivo almeno nell’astio o nel panegirico: e ripiomba nella smemoratezza. Dopodiché, se ne sente ancora l’appello, prova appena un sussulto per quel suono senza volto, in cui si è ormai condensata la ben nota effigie d’un tempo. Ma tale è la possanza della forma, che i tratti non riproposti con accanimento hanno iniziato a dissolversi; il look si è adulterato in asbentia, velato da una sorta di alone nebbioso. Il fatto è che il nostro fedele spettatore, ormai convalescente dalla dipendenza, ha preso seriamente le distanze; e quella complicità che aveva stretto anche con i grugni meno amabili si è attutita, allentata, spezzata: e, per dirla tutta, il divorzio si è avvenuto.
Ormai della cara sembianza permane, se capita, giusto l’anagrafe. E se per disavventura essa riemergesse in un’associazione malaugurata, non avrebbe più lasciapassare tra le adorate larve ipnotiche: una forza avversa, un maleficio, un prodigio, l’hanno esiliata dallo schermo, su cui prontamente altri avvoltoi si sono accampati, altrettanto familiari e melliflui. Il nostro spettatore ha ormai spostato la necessità di esistere su altri protagonisti, ai quali si è affezionato senza rendersene conto. E adesso sono loro che vede; sono loro che fanno capolino negli sogni; sono loro che, dopo avergli sussurrato la buona notte, con un guizzo d’occhi entrano di prepotenza nelle sue allucinazioni ipnagogiche. Sono loro che l’hanno persuaso alle loro facce amiche, portandolo a tradire il patto con le antiche fisime, di cui ha smarrito i contorni. Sono loro i simulacri a cui concede il diritto di apparire, e di cui il suo gusto avidamente si nutre. Così il tradimento col decaduto onorevole è definitivamente consumato, corroso dall’immagine prima e dall’anamorfosi dopo. Al punto che se il nostro spettatore dovesse incontrarlo per strada, stenterebbe a riconoscerlo. Al massimo lo scruterebbe col beneficio del dubbio: ma la familiarità infranta gli toglierebbe sicurezza. E non racconterebbe a nessuno di averne intravisto il sosia; e non menerebbe nemmeno vanto di aver scorto l’ombra di colui su cui un giorno si sarebbe precipitato per l’autografo o la foto. Così il tempo dissipa i fantasmi; così la novità si accampa spudoratamente sugli spettri; e non rispetta più l’eternità transeunte di chi si illuse persona.
Né altrimenti, ma forse ancora più velocemente, vanno le cose con un nome ignoto fino a ieri, o appena pronunciato in una cerchia ristretta: e che d’un colpo, per onorificenza, carica, concomitanza, delitto o sospetto, balza abrupto sullo schermo. Da quel momento fissa al teledrogato un appuntamento da non mancare, di cui si sono già impadroniti i servizi di informazione. E quel volto non ci abbandona più per un pezzo. Ci viene incontro, affabile o truce, dalla colazione della mattina al cachet serale, persuadendoci della sua esistenza, nei dì feriali e santificati, tra quotidiani seriosi e rotocalchi, a tutte le ore. E di lui sappiamo come veste; come vezzeggia moglie e prole; dove consuma le vacanze: mentre un tiro incrociato di obiettivi lo coglie di volta in volta complesso o intrigante, presuntuoso o astuto: ma sempre, vivaddio, pronto a riciclare memorabili detti!