… E sappiamo se va all’estero o poltrisce; chi incontra; a quali cene si abbuffa; che predilige e che aborre; se è allergico alla carota o al finocchio; cosa ne narrano amici e nemici; e le ragioni per cui compare pubblicamente, e quelle per cui non dovrebbe, che sarebbero comunque una riprova della necessità del suo esserci. Così conseguito il diritto di esistere, dà non solo sollazzo a giornalisti e fotografi assetati di scoop, ma regala ancora un senso all’alea di passanti comuni. Che scorgendolo per strada invertono itinerario pur di farsi inquadrare da una telecamera; si dannano a esaltarlo o biasimarlo, o talvolta per magari mandarlo sentitamente a quel paese. Se gli scappa un contrattempo, una gaffe, una spiritosaggine, suscita attente analisi, quasi avesse scovato il sale della terra, e la galassia si fosse concentrata nella sua bocca. Altera i sogni dell’adolescente, che magari scorda una pellicola pur divorata con passione, ma non sa accantonare l’asfissiante passerella del quotidiano, che lo persuade agli autentici eroi dello schermo; e sogna di imitare un giorno non l’attore aureolato dalla finzione, né l’intrepido medico della serie di turno, né tantomeno l’artista che guizza in una sequenza notturna, no. E non pensa nemmeno di realizzarsi in una silhouette del gossip, cui la gaiezza toglie credibilità; mentre si sente animosamente incline al passo istituzionale: persuaso dalla seriosità del prestigio da conquistare.
Tutto ciò per ricordare quanto le quotazioni della celebrità levitino o sprofondino; e che solo un effetto prospettico ci impedisce di soppesare la reale inconsistenza degli spettri che, prima di carambolare nel nulla, sfrecciano sul piano della Storia, seminandovi una traccia effimera, al pari di tutti, prima di sprofondare nella dimenticanza universale. Né ce ne rammaricheremmo troppo, del resto, noi che le seguiremo nello stesso vortice, se per un momento a quell’inconsistenza non regalassimo lo spessore che le spaccia per reali, in questa fittizia pièce che recitiamo con loro, pur se coscienti dell’inutilità di arrancare tra il buio prenatale e l’esodo catalettico. Eppure, se tutto quanto stringiamo se ne alimenta, è proprio dalla nostra pochezza che si sprigiona un germe di stravolto eroismo, e pateticamente ci persuade all’inganno. E allora le persone perdurano e le città si gonfiano, anche se, man mano che procediamo nella narrazione, congediamo sempre più figure, respinte nel buio dalle sopravvenute aspiranti a una frazione di esibizione. Alcune per sempre; altre, restie a ogni codice di trapasso; altre ancora cocciutamente decise a non mollare. Ma tutte affiggendo un’umana pietà di durare in questo fragile palinsesto narrativo, su cui sculettano anche le piccine frenesie di chi si credette satrapo del mondo, e ora supplica di riemergere dal cono d’ombra in cui l’economia del racconto l’aveva relegato. E allora vediamo come alcune sono intanto evolute lontano dalla nostra lente, per sapere se, distogliendone lo sguardo, le abbiamo salutate per sempre, o rischiamo di ritrovarle ancora.
A partire dall’ex imperatore Massimiano. Costretto, dopo l’abdicazione di Diocleziano, a seguirlo a malincuore nel ritiro; ma che, contrariamente a lui che cercava serenità nell’immensa dimora di Salona, sbraitava nella sua villa calabra, che all’età di cinquantacinque anni, e nel pieno vigore carnale, fosse sprecato tra quei buzzurri incolti. E pertanto mal digeriva di eclissarsi dietro le quinte, solo perché Diocleziano gliel’aveva imposto. Non aveva potuto dirgli di no, è vero; e i patti erano chiari dall’inizio. Ma non si rassegnava all’anonimato, dopo aver sottomesso metà dell’universo. E contrariamente al collega maggiore che, stanco e sfiduciato, aspirava solo alla serenità del silenzio, Massimiano fremeva nell’inerzia, e scrutava se mai si presentasse un’occasione per schizzare alla ribalta. Senza sapere che la Storia procedeva in un’altra direzione; e che se anche si fosse ripresentato con non dismesse pretese di protagonista, come tenterà in effetti di fare, non gli farà troppo credito. Gli assegnerà al massimo un ruolo di modesto comprimario: e per quanto intrigherà per riacciuffare il potere, non potrà che soccombere a più freschi mastini, suo figlio compreso. E sarà una fine ben triste, quella che troverà chi un giorno aveva spadroneggiato quasi senza limiti.
Quanto all’imperatrice Eutropia, di lui sospettosa ma sottomessa, non aveva potuto che seguirlo nel ritiro, sollevata dalla speranza che finalmente il marito si sarebbe ammansito in una vecchiaia morigerata. Ora che erano svaniti i timori che a lungo l’avevano resa diffidente verso il coniuge, visto che Teodora era andata sposa a Costanzo, insieme al quale continuava a sfornarle nipotini, seguiva anch’essa la china degli anni, confidando che gli acciacchi sbarazzassero dalle voglie del marito quei capricci che a lungo l’avevano tenuta in ansia; e si concentrava soltanto sull’ultima nata, la dodicenne Fausta: ignorando che anche per lei la volubilità della Storia stava approntando una sorte regale e tremenda, lungo le sue imprevedibili vie. Né trepidava più per Massenzio, ormai divenuto un condottiero abile e determinato, che assecondando la propria ambizione si era fatto conoscere a Roma per rigore e temerarietà: mostrandosi, negli atti di crudeltà, degno figlio di cotanto padre. Il quale, prima del ritiro, era riuscito a combinare per lui ancora adolescente un matrimonio con Massimilla, l’unica figlia di Galerio, che poi gli aveva dato un figlio dall’impegnativo nome di Romolo. In tal modo l’ex imperatore sperava di spianargli la strada per il futuro: ma proprio perché ci riuscirà, sarà paradossalmente mal ripagato della sua premura, da un figlio spietato non meno di lui.
Quanto agli altri personaggi che avevamo momentaneamente accantonato, hanno seguito anche loro la china del tempo, seguendo strade di cui è doveroso rendere conto al lettore. A partire dall’austero Porfirio: uomo di pensiero, e pertanto lontano dagli intrighi del potere, ma che nondimeno dobbiamo salutare. Il suo richiesto colloquio con Diocleziano non era stato estraneo alle decisioni prese dall’imperatore: anche se il filosofo, in quell’occasione, si era mostrato piuttosto comprensivo nei riguardi dei cristiani, che pur aveva combattuto con gli strumenti della ragione, ma che non avrebbe mai voluto veder perseguitati. Riappacificatosi con la loro umanità, e comprensivo verso ogni concitata ricerca di felicità, aveva suggerito all’imperatore parole di tolleranza e dialogo: ma non era servito. E in seguito al primo editto, contrariato e critico, aveva lasciato Nicomedia per ritornare sul promontorio di Lilibeo: dove, amorevolmente assistito dal discepolo Fileta, si era spento all’età di settantadue anni: per ritrovare, come aveva desiderato per tutta la vita, la grande anima di Plotino, in quel tutto in cui anche lui era infine naufragato.