Dal 18 novembre la Svizzera assume la presidenza del Consiglio d’Europa. Punterà al consolidamento della Corte europea dei diritti umani e al rafforzamento della democrazia. Intervista a , ambasciatore svizzero a Strasburgo
Per sei mesi la Svizzera guiderà i lavori del Consiglio d’Europa. Cosa significa questa presidenza per il paese?
Per noi ha un certo valore. Alla Svizzera non capita spesso di essere alla testa di organizzazioni internazionali. In questi 6 mesi, la Confederazione intende perseguire obiettivi condivisi dalla maggioranza degli stati membri. D’altro canto, però, tutti colgono l’occasione del mandato presidenziale per mettere l’accento su temi che stanno loro a cuore. Lo farà anche la Svizzera.
Quali sono i campi in cui la Svizzera vuole intervenire?
Prima di tutto vogliamo assicurare il futuro della Corte europea dei diritti dell’uomo. In secondo luogo, puntiamo ad un approfondimento del concetto di democrazia in Europa. A questo proposito, la Confederazione organizza una conferenza insieme all’Università di San Gallo e alla Commissione di Venezia, che riunisce i maggiori costituzionalisti europei. La conferenza, intitolata «Democrazia e decentralizzazione», si terrà in primavera e riunirà persone di tutta l’Europa. Infine siamo intenzionati a dare l’avvio a riforme interne al Consiglio d’Europa.
La riorganizzazione della Corte europea dei diritti umani, che è ad un niente dal collasso, è urgentemente necessaria. Come pensate di procedere?
La corte rischia di essere vittima del suo stesso successo. Nel corso degli ultimi anni, il numero di istanze presentate a Strasburgo è aumentato in modo massiccio. Al momento, le pendenze sono circa 115’000. Per affrontare questo problema, il Consiglio federale ha indetto una conferenza ad alto livello che si terrà il 18 e 19 febbraio a Interlaken.
Concretamente, cosa ci si può aspettare da questo incontro?
Il nostro obiettivo è una dichiarazione ufficiale di sostegno alla corte sottoscritta da tutti gli stati. Inoltre, riteniamo necessario prendere delle misure per contenere – almeno in parte – il numero di istanze presentate. A Interlaken si darà poi il via alla raccolta di proposte da realizzare tra sette o otto anni per assicurare il futuro del tribunale. Ciò che sicuramente non desideriamo, è porre dei limiti ai ricorsi individuali. Anche i comuni cittadini devono poter continuare a rivolgersi alla Corte europea.
Questo massiccio aumento dei casi portati davanti ai giudici di Strasburgo corrisponde ad un sempre minor rispetto dei diritti umani in Europa?
L’aumento dei casi è da collegare all’allargamento del Consiglio d’Europa, in particolare dopo la caduta del muro di Berlino. Ora gli stati membri sono 47. Tra questi, ce ne sono di quelli che in tempi brevissimi si sono dovuti adattare ad un sistema giuridico nuovo. Il 60% dei casi proviene da quattro paesi: Russia, Turchia, Ucraina e Romania. Un’altra causa è la crescente notorietà di cui gode il Consiglio d’Europa.
La Svizzera, con la sua lunga tradizione umanitaria e la sua politica dei diritti umani, è un modello da seguire o ci sono anche nella Confederazione cose da migliorare?
La Svizzera è orgogliosa del suo ordinamento statale. E a questo proposito, il riconoscimento internazionale non manca. Ma anche noi facciamo degli errori. Capita regolarmente che ci siano dei casi in cui la Svizzera viene ammonita dalla corte. In base a queste sentenze, la Confederazione è tenuta, per esempio, a risarcire delle persone o a modificare le sue leggi per evitare il ripetersi di situazioni problematiche. Il numero di istanze provenienti dalla Svizzera, però, è relativamente basso. Negli ultimi 10 anni saranno state in media 200. La maggioranza è stata respinta perché infondata.
42 dei 47 membri del Consiglio d’Europa hanno aderito alla Carta sociale europea che dovrebbe migliorare a livello internazionale i diritti economici e sociali. La Svizzera non è tra questi. Perché?
Il Consiglio d’Europa conta più di 200 convenzioni a carattere sociale. La Svizzera ne ha ratificate 109. È una buona media. Il parlamento elvetico non ha accolto la Carta sociale e riserve sono state annunciate anche da alcuni cantoni. Questo dipende anche dal fatto che prima di ratificare un testo, la Svizzera vuole essere sicura di poterlo applicare.
Fonte swissinfo.ch