Fatti sconosciuti della Guerra 1915 – 18
Ho, della mia gioventù, un ricordo che mi rode il cervello. Fatti e racconti a cui non ho mai saputo dare una risposta.
Ritornano alla mente ogni qualvolta si discute di eventi bellici che riguardano la grande Guerra del quindici diciotto. Il dibattito del 20 maggio scorso in parlamento mi ha dato una ulteriore possibilità per riflettere. Era in discussione una proposta di legge riguardante i militari italiani ai quali fu irrogata la pena capitale durante la prima Guerra mondiale. Il relatore, Giorgio Zanin, nella sua nitida e appassionata relazione, ricordava il piccolo cippo di pietra con una targa di ottone e quattro nomi con il tricolore poco dietro al cimitero di un piccolo borgo della Carnia. Cercivento in provincia di Udine, il comune in questione, a pochi passi dall’Austria. È un monumento singolare, perché è stato dedicato a quattro persone, formalmente disonorevoli, soldati che si rivoltarono contro il capo della loro compagnia, la 109 alpina, e contro l’ordine di assalto frontale al nemico austriaco.
Per questo in ottanta vennero mandati davanti ad un tribunale straordinario di guerra e processati con l’accusa di rivolta in presenza del nemico, nell’unica sala sufficientemente ampia da contenerli: la chiesa del paese. In una notte tra il 30 giugno e il primo luglio del 1916, quattro di loro furono condannati a morte perché reputati i capi della rivolta. Sono il caporalmaggiore Silvio Gaetano Ortis di venticinque anni, di Paluzza, il paese confinante, i caporali Basilio Matiz, di ventidue anni di Timau, Giovanni Battista Coradazzi, ventisette anni, di Forni di sopra, e il soldato Angelo Massaro, ventotto anni, di Maniago.
La vicenda è passata alla storia come la decimazione di Cercivento. Questa proposta di legge, che parte da una testimonianza così toccante e tragica di quei terribili avvenimenti, intende proporre una rilettura di fatti storici lontani nel tempo che vede al centro oltre un migliaio di fucilati a livello nazionale per reati contro la disciplina e non contro la persona. Giorgio Zanin ha concluso la sua relazione ricordando come la memoria di quei mille e più italiani uccisi dai plotoni di esecuzione interpella, oggi, la nostra coscienza di uomini liberi e il nostro senso di umanità.
Già, la memoria. Ricordo quel vecchio del mio villaggio natio seduto nella solita panca di legno collocata a fianco dell’uscio di casa. I folti baffi che scendevano a coprire la pipa eternamente accesa quasi fosse il braciere del camino amico in una gelida notte invernale. IL nodoso bastone che il vecchio aveva arricchito di anelli d’acciaio da lui lavorati e scolpiti sulla forgia situata sul retro. E quel cappello d’alpino su cui splendeva la piuma del gallo cedrone quasi fosse l’emblema di un regno. D’altronde, talvolta, e senza un apparente motivo, sentivi quell’urlo a cui, tu, ancor giovanetto, non davi alcuna risposta. Forza, Savoia !, urlava il gran vecchio. E ognuno, passando, aveva per lui un saluto affettuoso.
Un giorno gli chiesi il perché e lui, che aveva per me affetto e riguardo, mi fece sedere accanto per poi iniziare un lungo racconto. Di come, negli anni più belli lui partì per la guerra. Dapprima sul Carso e poi tra i ghiacciai del gruppo Adamello che lui, infante, aveva scorto dall’alpe venina sognando di poter calpestare un giorno il bianco mantello, talvolta indorato dai raggi del sole. Scoprii il perché nei giorni di festa, d’estate o d’inverno che fosse, portasse al petto quelle strane medaglie di ferro e d’ottone che erano per me solo ferraglia annerita e corrosa dal tempo. Fu il primo racconto di guerra che io udii da quel vecchio. Di come all’assalto trafisse il giovane biondo che cadde ai suoi piedi nel mentre il suo ultimo grido, Hurra !, si perdeva sino in fondo alla valle. Per ogni medaglia, un soldato, allora nemico per scelte che il vecchio non poteva sapere, perdeva l’ancor breve vita da una parte e dell’altra della vetta Adamello.
Parlava , il vecchio. Di lui e dei suoi tanti compagni viventi o periti. Parlava di tutti. E di ognuno raccontava un aneddoto, un fatto, un segreto protetto dalla fossa comune e dall’oblio del tempo. Un giorno e forse perché sentiva avvicinarsi la fine – morirà poche settimane dopo il racconto – mi svelò la storia di Davide, il milite amico del paese vicino. Di come quel giovane scomparve nel nulla e nessuno, nemmeno i parenti più stretti o l’amata in attesa al villaggio, osò ricordarne la vita, declamare una prece. Era forse parte dei mille. Un’ altra storia. La vorrei raccontare.