Importante novità nel campo medico-scientifico per combattere la malattia
Non si tratta certo della scoperta della cura che sconfigge questo tipo di demenza degenerativa, ma si tratta comunque di una notizia che lascia sperare per il futuro. L’insulina attraverso il naso arriva alle zone del cervello colpite da Alzheimer e agisce favorevolmente nel migliorare la memoria e senza finire nel sangue. Questo importante risultato arriva dai ricercatori della University of Washington School of Medicine, della Veteran Administration Puget Sound e della Saint Louis University. Si tratta di un risultato importante poiché non solo svela qualcosa di più su questa malattia ma soprattutto permette di avvicinarsi maggiormente alla scoperta di una possibile cura. L’Alzheimer e altre forme simili di demenza colpiscono oltre 44 milioni di persone e il numero è destinato a raddoppiare entro il 2030, tanto che l’OMS la considera una grave pandemia non solo nel mondo Occidentale ma ancor più nei paesi in via di sviluppo (si attendono circa 2 miliardi di persone malate nel 2050 con India e Centro Africa su tutti). Inoltre è noto a tutti come le persone affette da diabete di tipo 2 corrono un maggior rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. Da ciò il team di ricercatori ha pensato di utilizzare l’insulina, utilizzata proprio in questa forma di diabete, per cercare di contrastare l’Alzheimer scoprendo così che il trattamento con l’ormone dell’insulina o con medicinali che ne incrementino gli effetti potrebbe aiutare i pazienti colpiti dalla demenza. “I ricercatori di questo studio, pubblicato sul ‘Journal of Alzheimer’ – spiega il geriatra Giuseppe Paolisso, Rettore della II Università di Napoli e già presidente della Sigg (la società italiana di Geriatria e Gerontologia) – hanno utilizzato un modello di topo che, andando avanti con l’età, sviluppa problemi di apprendimento e memoria. È un altro avanzamento delle nostre conoscenze sulla malattia di Alzheimer con importanti potenzialità terapeutiche che però devono superare il vaglio di nuove sperimentazioni specie sull’uomo” afferma Paolisso.
Nel test di riconoscimento degli oggetti, dopo una singola dose di insulina intranasale, le cavie riuscivano a ricordare gli oggetti visti prima, diversamente da quelle cui non era stata somministrata. “I ricercatori hanno anche visto che l’insulina non finisce nel sangue, eliminando così una delle principali preoccupazioni nella comunità medica, perché abbasserebbe i livelli di zucchero. Inoltre, dosi ripetute aumentano l’efficacia per la memoria” spiega quindi l’esperto. L’uso dell’insulina per via nasale è stato ipotizzato circa 10 anni fa come approccio terapeutico al diabete in alternativa all’insulina iniettiva (essenzialmente per via sottocutanea). Purtroppo questo tentativo non ha dato i frutti sperati. L’accesso per via nasale al cervello è largamente conosciuto dai tempi dei faraoni egiziani (che erano imbalsamati svuotando la cavità cranica proprio attraverso il naso). L’insulina è in grado di superare la membrana e quindi può arrivare nel cervello e la via nasale e sicuramente una via ricca di interesse, ha concluso Paolisso. Questa scoperta potrebbe rappresentare un ulteriore passo in avanti nell’individuare nuove terapie contro la malattia di Alzheimer e gettare nuova luce sui suoi legami con il diabete.
Una malattia per anziani che inizia da giovani
Lo sapevate che l’Alzheimer inizia a manifestarsi intorno all’età di 20 anni? Ovvero ben mezzo secolo prima che si sviluppino i sintomi veri e propri. È questa la straordinaria scoperta effettuata da un gruppo di ricercatori della Northwestern University di Chicago. Gli studiosi hanno esaminato il cervello di persone anziane con o senza Alzheimer e hanno effettuato un confronto con campioni cerebrali prelevati da 13 persone di età compresa tra i 20 e i 66 anni, decedute senza aver avuto problemi di memoria. I test hanno dimostrato che la beta-amiloide, la proteina tossica che “invade” il cervello nel morbo d’Alzheimer inizia a comparire già a 20 anni d’età. In pratica, sembrerebbe che i danni al cervello inizino molti anni prima dell’esplosione della malattia.