Gli esperti lamentano una eccessiva e cattiva informazione sulla malattia che colpisce un numero alto di persone. La causa è soprattutto dell’informazione autonoma sulla rete e dell’incapacità del medico che segue il paziente nel renderlo consapevole della malattia
Da qualche anno il fenomeno del paziente che si cura su internet si sta facendo sempre più largo. Già da tempo, infatti, gli esperti hanno evidenziato questa nuova e cattiva tendenza di cercare informazioni e cure sulla rete non solo per quanto riguarda malattie meno gravi, ma quel che peggio è che risulta anche per malattie di una certa complessità e gravità. Un comportamento questo che nono denota solo il fatto che i pazienti vogliono essere sempre più consapevoli delle proprie problematiche, ma che spesso mette in allarme perché si rischia di cadere nel cattivo comportamento di auto-curarsi senza alcuna reale competenza medica in merito. Questo argomento è stato al centro dell’incontro con gli esperti, alla vigilia della Giornata Mondiale del Diabete che si è celebrata il 14 novembre, per fare il punto su una malattia che al mondo colpisce 387 milioni di persone. Il problema è che proprio per quel che riguarda questa malattia, una malattia cronica che assume sempre più proporzioni epidemiche e il panorama terapeutico si fa più articolato, l’identikit del paziente sta mutando e diventando quello del paziente che si informa sempre più spesso in internet ed è sempre più consapevole ma rischiando di finire di confondersi e restare perplessi rispetto alla loro terapia. Risulta così aumentato il numero di pazienti diabetici che si affidano al web restando disorientati.
“Tanta informazione non può, purtroppo, essere sempre corretta e può finire col diventare ‘troppa’- secondo Agostino Consoli, Ordinario di Endocrinologia all’Università di Chieti-Pescara – Ben venga un paziente più consapevole ma solo se questo è utile a rendere più solido e vivace il suo apporto al team terapeutico”. Nel caso di patologie croniche non guaribili, come il diabete, la mera ‘prescrizione’ di un farmaco o di regimi dietetici o di attività fisica non è sufficiente a garantire ad evitare complicanze. Secondo gli esperti il problema del paziente che ricerca maggiori informazioni arbitrariamente, si deve ricercare nel medico che lo segue che non è stato in grado “di renderlo consapevole”. “Non si deve parlare di pazienti ‘diligenti’ (e cioè che ‘ubbidiscono’) e di pazienti “indisciplinati” che fanno “quello che vogliono”. Nella maggioranza dei casi la ‘colpa’ di una scarsa compliance è in gran parte del medico, che ha fallito il compito di rendere il paziente consapevole e quindi collaborativo”. Altre volte, prosegue l’esperto, la ‘colpa’ “di una scarsa compliance va ricercata nel farmaco stesso. Un farmaco che dia effetti collaterali, che possa portare il paziente a fare la brutta esperienza di un episodio di ipoglicemia, o che possa indurre aumento di peso, sarà difficilmente un farmaco verso il quale il paziente avrà una buona compliance”. Al contrario, più semplici e più tollerabili sono le terapie e più è facile per il paziente portarle avanti in modo corretto. “Un farmaco a somministrazione orale, una sola volta al giorno, con un buon profilo di sicurezza e tollerabilità come sitagliptin (inibitori dell’enzima DPP-4) – conclude Consoli – rende la vita più facile al paziente, ed anche al medico” riuscendo così a creare così una maggiore collaborazione tra paziente e medico.
In Svizzera si stimano circa 500’000 persone diabetiche, 40’000 delle quali di diabete di tipo
La maggioranza dei diabetici, circa il 90 %, è affetta da diabete tipo 2, mentre circa il rimanente 10% soffre di diabete tipo 1