Dolce&Gabbana lanciano la prima collezione per le donne musulmane. H&M presenta il Tallit chiaramente ispirato allo scialle religioso degli ebrei
In un periodo dove si parla così tanto di cultura musulmana che, per diversi motivi, leciti o meno, sono al centro di svariate controversie, la moda decide di sfruttare l’onda, approfittare degli eventi e realizzare quelle creazioni che fanno clamore non per bellezza o originalità, quanto soprattutto per aver destato stupore attraverso una mossa azzardata. Questa volta, infatti, la moda ha azzardato il lancio di alcuni capi chiaramente ispirati alla cultura alla tradizione e alla religione musulmana, come quelli della collezione Abaya firmata Dolce&Gabbana.
Probabilmente se i due stilisti avessero deciso di lanciare questa nuova collezione in tempi più “tranquilli” non avrebbe fatto lo stesso scalpore. Invece, cosa non si fa per aver sempre più visibilità? In tempi passati altri grandi nomi della moda hanno lanciato delle collezioni per musulmane, nel 2014 già Tommy Hilfiger, Oscar de la Renta, Monique Lhuillier, DKNY e la catena Mango hanno realizzato una capsule collection dedicata al Ramadam. Andando ancora più indietro, circa 20 anni fa, anche Jean Paul Gautier aveva mandato in passerella lo Chic Rabbis ispirato all’abbigliamento delle sinagoghe. Ma nessuno l’aveva poi notata così tanto. Oggi invece, che tra gli argomenti più discussi vi è proprio il velo delle donne musulmane, ecco che la coppia di stilisti siciliani lancia la collezione Abaya ovvero la prima collezione di Dolce&Gabbana dedicata alle donne musulmane che prevede hijab, cioè il famoso velo per coprirsi il capo, e abaya, la tipica veste nera che copre completamente il corpo delle donne lasciando scoperti solo occhi, mani e piedi. Sicuramente complice sarà il grande riscontro che arriva dal mercato: secondo gli ultimi dati nel 2013 i musulmani hanno speso per essere alla moda circa 266 miliardi di dollari, cifra in ascesa secondo le previsioni che la vedono arrivare a 500 miliardi di dollari nel prossimo 2019.
La collezione Abaya prevede che gli indumenti tipici della cultura araba quali hijab e abaya siano rivisitati con lo stile che contraddistingue Domenico Dolce e Stefano Gabbana ovvero intrisi di diversi richiami alla Sicilia resi attraverso pietre, pizzi, ricami e stampe floreali o di limoni. Gli abiti e i copricapi devono essere accompagnati da accessori appariscenti, gioielli, scarpe e borse, per contrastarne la semplicità. È proprio in questo contrasto (semplicità degli abiti-eccentricità degli accessori) che rivela la forza della collezione.
Certamente molti dotti della moda che ormai esaltano e basta i loro prediletti hanno visto il gesto come un passo avanti. Per fortuna c’è anche chi ha visto nel gesto degli stilisti siciliani un passo errato. Scrive Maria Corbi su La Stampa «il velo islamico rappresenti comunque un simbolo dell’oppressione delle donne. Puoi griffarlo quanto ti pare, ma qualsiasi ritocco di artista svanisce davanti al significato di quelle tuniche. Sarebbe come decorare le palle al piede dei prigionieri». Strano atteggiamento per una casa di moda che agli inizi fece il grande salto proprio grazie a quella moda che gridava fortemente a favore dell’emancipazione della donna!
A far clamore in questi giorni è stato anche il passo farlo del colosso svedese dei piccoli prezzi H&M con il lancio del tallit, scialle religioso degli ebrei rifatto identico a quello della preghiera anche nei colori: bianco o crema, con righe nere o blu. Anche se H&M ha ribadito che si tratta di una semplice sciarpa da passeggio per tutti, il richiamo è esplicito ed ha scatenato una serie di proteste. Il brand si è dovuto difendere pubblicamente: “Siamo davvero dispiaciuti se con il nostro capo abbiamo offeso qualcuno – si legge nella nota di H&M -. Da noi chiunque è il benvenuto e non abbiamo mai preso una posizione politica o religiosa. Le righe sono una delle tendenze per questa stagione ed è a questo che ci siamo ispirati. Non era nostra intenzione offendere nessuno”. E la sciarpa è stata ritirata da alcuni mercati, primo fra tutti quello israeliano.