Cameron: “Referendum su Ue il 23 giugno”
“Il gabinetto ha convenuto che la posizione del governo sarà quella di raccomandare che la Gran Bretagna resti in un’Unione europea riformata”, ha detto il premier britannico la scorsa settimana all’indomani dell’accordo raggiunto fra Londra e il resto dell’Unione europea per scongiurare la Brexit. “Sono convinto – ha affermato – che la Gran Bretagna sarà più forte in un’Unione riformata, perché noi possiamo svolgere un ruolo guida in una delle organizzazioni più grandi del mondo dall’interno”.
“I singoli ministri del gabinetto avranno la libertà di fare campagna nella loro veste personale, secondo i propri desideri”, ha precisato Cameron. Il ministro della Giustizia, Michael Gove, così come quello della Cultura, John Whittingdale, sono tra i membri del governo britannico che sarebbero a sostegno della Brexit. Tutti i ministri del gabinetto, riporta la Bbc, avrebbero infatti già annunciato la loro posizione riguardo il referendum sull’Unione europea che si terrà nel Paese.
“Non dirò mai – ha detto Cameron – che il nostro Paese non potrebbe sopravvivere al di fuori dell’Europa, noi siamo la Gran Bretagna, noi possiamo raggiungere grandi cose”, ma “saremmo più sicuri in un’Unione riformata, perché possiamo collaborare con i nostri partner europei per combattere contro il terrorismo e la criminalità transfrontaliera”. “Ci stiamo avvicinando – ha aggiunto Cameron – ad una delle decisioni più grandi che questo Paese dovrà prendere in una vita: se restare in una Ue riformata o andarsene. La scelta va al cuore del tipo di Paese che vogliamo essere ed il futuro che vogliamo per i nostri figli”.
“Voglio essere chiaro: lasciare l’Europa minaccerebbe la nostra sicurezza economica”, ha detto Cameron, precisando che “il nostro piano per l’Europa dà il meglio di entrambi i mondi, sottolinea il nostro status speciale”. Ma, ha aggiunto, “il nostro status speciale significa anche che noi siamo fuori da quelle parti di Europa che non operano per noi”.
I punti dell’accordo
L’accordo ha diversi punti qualificanti, tra i quali, per quanto riguarda la governance economica, quello in cui si riconosce “che gli Stati membri che non partecipano all’ulteriore rafforzamento dell’unione economica non creeranno ostacoli, bensì faciliteranno tale ulteriore rafforzamento, mentre questo processo rispetterà, per contro, i diritti e le competenze degli Stati membri che non partecipano all’euro”.
Per quanto concerne la sovranità, “viene riconosciuto che il Regno Unito, alla luce della speciale condizione che ha nei trattati, non è impegnato in una ulteriore integrazione politica nell’Ue”. Inoltre, “i riferimenti nei trattati e nei loro preamboli al processo di creare un’unione sempre più stretta tra i popoli europei non offre una base legale per estendere la portata di alcuna clausola dei trattati o della legislazione secondaria dell’Ue”.
Non solo: “I trattati consentono un’evoluzione verso un grado di integrazione più profondo tra gli Stati membri che condividono una tale visione del loro futuro comune, senza che questo si applichi agli altri Stati membri”. Quanto ai social benefits e alla libertà di movimento, si mette nero su bianco che “il diritto al libero movimento dei lavoratori può essere soggetto a limitazioni sulla base di considerazioni di pubblica sicurezza, di policy o di salute pubblica”.
Inoltre, “sulla base di considerazioni oggettive indipendenti dalla nazionalità delle persone coinvolte e proporzionate al legittimo scopo perseguito, possono essere imposte condizioni in relazione ad alcuni benefit, per assicurare che ci sia un reale ed effettivo grado di connessione tra la persona e il mercato del lavoro dello Stato membro”.
Gli Stati membri, si legge ancora, “hanno la possibilità di rifiutare di garantire benefici sociali alle persone che esercitano il loro diritto alla libertà di movimento unicamente per ottenere l’assistenza sociale dello Stato membro, malgrado non abbiano risorse sufficienti per rivendicare il diritto di residenza”. Viene consentita l’introduzione di un “meccanismo di allerta e salvaguardia che risponde a situazioni di afflusso di lavoratori di magnitudo eccezionale per un periodo esteso di tempo, ivi inclusi i risultati di politiche passate che hanno fatto seguito agli allargamenti dell’Ue”.
“Lo Stato che intenda avvalersene deve notificare alla Commissione e al Consiglio l’esistenza di tale situazione eccezionale, che danneggi aspetti essenziali del suo sistema di sicurezza sociale. Su proposta della Commissione, il Consiglio può autorizzare lo Stato membro a restringere l’accesso ai benefici non contributivi per i lavoratori per la misura necessaria”. Il Consiglio “autorizza tale limitazione per un periodo di 4 anni a partire dalla data di inizio del lavoro. Limitazione che deve essere graduale e si applica ai lavoratori Ue nuovi arrivati per un periodi di sette anni”.
Adnkronos