Dopo 4 ore di camera di consiglio, il 17 dicembre scorso il giudice ha sentenziato che in base all’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale, l’imputato deve essere assolto “quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova”. Come si è giunti a questa sentenza? Il primo novembre del 2007 Alberto Stasi, fidanzato di Chiara Poggi, dopo aver lavorato alla sua tesi al computer dalle 9.36 (quando è stato acceso) fino alle 12.20 (ora in cui il computer viene spento), esce di casa alle 13.30 e si reca dalla fidanzata. Entra perché è aperta la porta d’ingresso e vede sangue dappertutto. Segue la scia di sangue che conduce alla porta della cantina, la apre e vede il corpo esanime di Chiara. Esce e telefona all’ambulanza, quindi, chiamando col cellulare i carabinieri, va verso la caserma per denunciare la tragica scoperta.
Dopo le prime indagini gli inquirenti scoprono che l’allarme è stato disattivato alle ore 9.10, i medici stabiliscono che l’ora del delitto è da collocare tra quell’ora e le 11.30. Visto il tono freddo della chiamata di Alberto all’ambulanza e dato che la ragazza ha aperto a qualcuno che sicuramente conosceva, gl’inquirenti individuano il colpevole proprio nella persona di Alberto. I carabinieri gli sequestrano il computer e verificano se quanto il ragazzo dice corrisponde al vero, ma cancellano inavvertitamente i dati e non credono alla versione del fidanzato che viene arrestato. In pratica, la procura non segue altre tracce, ma solo quella che porta al fidanzato, tanto più che nel frattempo si scopre che il ragazzo visitava siti porno e pensano che tra lui e la fidanzata ci sia stato un litigio finito male a causa della scoperta, da parte della ragazza, di questo suo “interesse”.
Quando gli chiedono perché le sue scarpe non sono macchiate di sangue, risponde che sono idrorepellenti; quando lo accusano di aver ammazzato la fidanzata e di aver telefonato all’ambulanza e ai carabinieri col cellulare quando già stava presso i carabinieri, risponde che non è vero, che ha telefonato appena fuori dalla casa di Chiara e di aver telefonato ai carabinieri andando verso la caserma; quando lo accusano di aver acceso il computer, poi di essere andato a casa di Chiara e di averla ammazzata e di essere poi ritornato a casa e preparato l’alibi, risponde che aveva lavorato tutta la mattinata al computer.
Il 31 marzo il colpo di scena: l’avvocato di Alberto chiede il rito abbreviato. L’accusa vi vede una prova della colpevolezza, la difesa un atto di sicurezza. Il giudice, alla fine di aprile, non riesce ad emettere nessuna sentenza, per cui ordina a una commissione di esperti una serie di perizie. La prima delle quali riesce a recuperare i dati cancellati ed accerta che Alberto aveva realmente lavorato al computer dalle 9.36 alle 12.20; la seconda, in base alle celle elettroniche, mostra che il ragazzo aveva detto la verità sui luoghi da dove aveva telefonato e sul tragitto compiuto; la terza perizia dimostra che l’assenza di tracce ematiche sotto le scarpe di Alberto può essere dovuta sia al fatto che camminando erano state cancellate, sia al fatto che le macchie di sangue a terra erano già secche, sia a tutte e due le ipotesi. L’accusa reagisce girando un video in cui vuole dimostrare che era possibile dalle 9.10 alle 9.36 entrare in casa di Chiara, conversare, litigare, ammazzare la ragazza, trascinare il corpo, uscire e ritornare a casa in bicicletta: il tutto in 9 minuti. Troppo poco per essere credibile.
Nel corso del processo tutte le verità di Alberto resistono alle critiche dell’accusa che, di fronte all’evidenza del lavoro fatto al computer, sposta in avanti l’ora del delitto a dopo le 12.20, ma evidentemente non convince il giudice. Solo su un particolare l’accusa riesce ad insinuare un dubbio: se Alberto apre la porta e dice di aver visto Chiara distesa in un lago di sangue, come è possibile che l’abbia vista e descritta senza essere sceso di almeno un paio di scalini? Dalla porta, infatti, il corpo della ragazza non si vede bene.
Ecco, è questo il particolare che ha creato nel giudice un dubbio. D’altra parte, Alberto può essere sceso di qualche gradino e non essersene accorto. La realtà è che non si può condannare qualcuno senza una prova, per questo l’assoluzione è stata concessa in base all’articolo sopra citato.
Ma i guai per Alberto Stasi devono ancora terminare: l’8 gennaio infatti si saprà se i file pedopornografici trovati sul suo computer sono stati scaricati volontariamente o meno. Quel giorno infatti i periti si riuniranno a Torino per esaminare le modalità di scaricamento delle e dei filmati che erano stati cancellati dal computer e poi recuperati attraverso una lunga procedura informatica. Gli accertamenti si inseriscono nelle indagini che, nel dicembre 2007, avevano portato la Procura di Vigevano ad iscrivere Alberto per i reati di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico dopo la scoperta sul suo pc di file che ritraevano bambini in atti sessuali con adulti. Ora, dallo stesso computer, sono spuntate altre immagini dello stesso tipo.
I periti incaricati dal giudice Stefano Vitelli devono ancora accertare se i file pedopornografici possano essere stati scaricati inconsapevolmente da Alberto. Il giovane comparirà in aula a Vigevano il 9 marzo prossimo per rispondere di questi capi d’imputazione e il gup dovrà decidere se proscioglierlo dalle accuse oppure rinviarlo a giudizio.
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