La crisi del settore finanziario ha apportato un anno di grande recessione in tutta Europa. Per il 2010 si attende invece un ritorno alla crescita in Svizzera. La ripresa sarà però lunga e dolorosa, prevede il professor Mauro Baranzini, per il quale molti banchieri non hanno ancora imparato la lezione.
Secondo le stime degli istituti di ricerche economiche, il Prodotto interno lordo (Pil) della Svizzera dovrebbe risalire a un più 0,5 – 1% l’anno prossimo, dopo essere piombato ad un meno 1,5 – 3% nel 2009. La crisi è quindi già finita? swissinfo.ch ha raccolto in merito le valutazioni di Mauro Baranzini, decano della facoltà di economia presso l’Università della Svizzera italiana.
swissinfo.ch: Dopo un anno di recessione, gli esperti prevedono un ritorno ad una crescita positiva, seppure timida, per il 2010. Abbiamo quindi già toccato il fondo di questa crisi e stiamo risalendo la china?
Mauro Baranzini: Non sono molto convinto di queste previsioni. Può anche darsi che, per quanto riguarda il Pil, abbiamo toccato il fondo negli ultimi mesi. Vi sono però ancora molte incognite aperte per le nostre esportazioni di beni e di servizi, da cui deriva quasi il 40% del nostro Pil e da cui dipende quindi in buona parte il benessere della Svizzera. Ora, diverse nazioni importanti prevedono una crescita negativa anche per il 2010. Tra queste la Gran Bretagna e il Giappone che sono partner commerciali della Svizzera tutt’altro che trascurabili. Finché non vi è un netto recupero da parte di queste nazioni, in cui esportiamo molti prodotti, ad esempio macchinari e meccanica, non intravedo una possibilità di ripresa veloce neppure per la Svizzera.
swissinfo.ch: Si pronostica una ripresa piuttosto lenta anche per il mercato del lavoro.
M.B.: Sul mercato del lavoro la situazione continuerà a peggiorare per un altro anno o anno e mezzo. Il settore dell’occupazione è sempre in ritardo di almeno 12 mesi rispetto all’evoluzione del Pil. Per creare nuovi posti lavoro, la crescita dovrebbe raggiungere almeno l’1,5 – 1,75%, perché l’occupazione aumenta quasi soltanto a questo ritmo di produttività. Prima di tornare ad una crescita simile o più forte, passeranno tuttavia almeno 2 anni.
swissinfo.ch: Con l’evolvere di questa crisi si era evocato lo spettro della grande depressione degli anni ’30 del secolo scorso. Rispetto a questo scenario, possiamo dire che ci è andata ancora bene?
M.B.: Questa crisi, che chiamerei una superrecessione, è senz’altro la più severa dagli anni ’30. Ci è andata però relativamente bene, perché le banche centrali e i governi sono intervenuti con massicce iniezioni di capitali per salvare soprattutto il settore finanziario e anche quello dell’automobile. Ora bisognerà però pagare il prezzo di questi interventi. Lo pagheremo non l’anno prossimo, ma negli anni seguenti e sarà un prezzo alquanto pesante.
swissinfo.ch: In che modo dovremo pagare questo prezzo?
M.B.: Lo si pagherà in diversi modi. Innanzitutto con un aumento sensibile della pressione fiscale a livello internazionale per far fronte agli accresciuti interessi che gravano sul debito pubblico e per rimborsare parte di questo debito pubblico. Non meno preoccupante è il fatto che diversi governi non sanno come muoversi per gestire le imprese che hanno salvato. Faccio un esempio: in Gran Bretagna le tre più grosse banche nazionali sono in questo momento al 70% nelle mani dello Stato, che non sa come gestirle perché non era preparato per un’eventualità di questo tipo. Lo Stato non può tramutarsi in un banchiere nel giro di poco tempo. Temo dunque che il futuro ci riserverà qualche amara sorpresa in questa direzione.
swissinfo.ch: Stati indebitati fino al collo, pressione fiscale più forte: vi è il rischio che tutto questo porti ad un ritorno della crisi nei prossimi anni?
M.B.: Diversi economisti parlano di una recessione a “W”, ossia che dopo aver toccato il fondo rischiamo di ricaderci nuovamente tra uno o due anni. Non credo tanto a questo scenario. Penso solo che la ripresa sarà molto lunga, molto dolorosa, accompagnata da tanta disoccupazione. Bisognerà poi che le banche centrali si concertino bene, al fine di evitare che non si sviluppino tensioni inflazionistiche, quando entreremo in una ripresa un po’ più forte. Questo pericolo non sussiste in questo momento: i prezzi sono stabili o addirittura stanno andando indietro in qualche paese. Molti si sono però già messi a investire e a speculare sulle materie prime e sull’oro, proprio per paura di questa ondata inflazionistica.
swissinfo.ch: In svizzera governo e parlamento sono stati piuttosto prudenti e hanno messo a disposizione pochi miliardi per lottare contro la recessione. Una scelta intelligente?
M.B.: La mia risposta è per principio positiva. Con la Norvegia, la Svizzera è una delle pochissime nazioni che non si è indebitata negli ultimi mesi in modo molto consistente. Da questo punto di vista, lo Stato elvetico uscirà da questa recessione a testa alta. Gli interventi a sostegno dell’occupazione non sono stati però molto incisivi. Stimo che i tre pacchetti di misure varati in questi ultimi mesi dalle autorità creeranno circa 20’000 posti di lavoro, quando la disoccupazione tocca ormai 140’000 persone a livello nazionale.
swissinfo.ch: Si è parlato a lungo della necessità di regolamentare maggiormente il settore finanziario per evitare il ripetersi di una simile crisi. Finora, però, non si è fatto molto?
M.B.: Non si è fatto praticamente niente. Regole nuove non se ne sono viste e la lotta contro i bonus rimane tutta in salita. Pensiamo ad esempio alla Royal Bank of Scotland, per metà di proprietà del governo, che ancora quest’anno distribuisce 2,6 miliardi di franchi di bonus. Probabilmente molti banchieri non hanno ancora capito la lezione. Speriamo quindi di arrivare ad una situazione con nuove regole, prima che intervenga un altro tracollo. Sono tuttavia alquanto scettico sulla volontà dei governi di intervenire e di fare in modo che crisi come questa non succedano più. Purtroppo, la memoria non dura nemmeno una generazione. E una generazione passa molto in fretta.