Visita nella più grande azienda del Centro Italia. Ecco come nasce il prodotto simbolo dello street food italiano, dove trovarlo e come abbinarlo
Conservato nella biblioteca comunale di Bevagna, è datato 1886 l’atto di compravendita di una porchetta di cui Giuliano Cariani mostra una
copia nell’ufficio della sua azienda di Bevagna. All’epoca, in quest’area incontaminata dell’Umbria, gli artigiani custodi dell’arte millenaria che secondo alcuni sarebbe da ricondurre agli Etruschi, erano una ventina. Oggi ne è rimasto solo uno.
L’azienda “Cariani – Porchetta Umbra di Bevagna” nasce nel 1982 quando Giuliano, figlio di un commerciante di maiali, decide di produrre porchette “pronto uso” da vendere agli ambulanti della zona che, fino a quel momento, macellavano e cuocevano maiali da sé. Da loro impara fin da ragazzo gli ingredienti essenziali di una buona porchetta e raccoglie secoli di conoscenza, tradizione e storia locale. Oggi, la sua azienda è rimasta l’unica nel territorio di Bevagna ed è diventata un punto di riferimento per tutto il Centro Italia. Un simbolo dell’alta qualità alimentare umbra e, probabilmente, la più grande “banca del sapere” presente oggi in Italia.
La struttura. 850 metri quadrati interamente dedicati alla produzione di porchetta, 5 celle frigorifere per lo stoccaggio dei suini macellati, raffreddamento e mantenimento del prodotto finito. Poi, la sala per la lavorazione delle carni e quella per la cottura, con 6 doppi forni in grado di cuocere contemporaneamente 12 porchette. Ma non pensiate che qui si lavori con metodi industriali. Tutt’altro.
Oltre a Giuliano, in azienda lavorano quattro dipendenti, due dei quali da 25 anni. Ognuno ha imparato dal predecessore questo difficile mestiere manuale, che richiede precisione e braccia forti. E oggi, quella nata come un’impresa è una famiglia.
La materia prima. Tutti maiali provenienti da allevamenti umbri. Giuliano sceglie solo suini in ottime condizioni fisiche, nutriti con mangimi naturali e che non abbiano subìto traumi o assunto farmaci. Una volta macellati vengono messi nelle celle frigorifere e preparati entro poche ore, a garanzia di una carne sempre freschissima. Il maiale già eviscerato, viene disossato a mano sul tavolo da lavoro. Le mani del macellaio, con l’ausilio di un coltello affilato e la protezione di un guanto d’acciaio, si muovono sulla carne rossa con gesti veloci e sicuri, tracciando un percorso battuto in anni e anni di esperienza. Via le costole, via le zampe.
La lavorazione. Una volta disossato, il maiale viene preparato per la cucitura. Con un grosso ago e spago resistente, i lembi della carne vengono infilzati per poi essere cuciti un attimo prima della cottura. Questa fase è molto delicata, perché da essa dipende la solida tenuta e la compattezza del prodotto finale. Prima di essere chiusa, infatti, la porchetta viene insaporita con aglio in spicchi, sale, pepe indiano, rosmarino e finocchio selvatico. Poi, riempita con morbidi e succosi fegatini, la prelibatezza che rende unico questo maiale arrosto. Infine, inserito un palo all’interno, il maiale viene cucito energicamente lungo la pancia. E la meraviglia è compiuta.
La cottura “sul palo” è quella tradizionale. Per 7/8 ore la porchetta cuoce senza mai essere girata, così, mentre i fumi aromatici delle spezie penetrano nella carne, grasso e acqua in eccesso scolano in una vasca sottostante, dove le zampe avanzate, parti di muscolo, orecchie e trippa diventano il famoso “Cicotto”, da gustare al piatto o dentro una rosetta svuotata dalla mollica. Una volta sfornata, la porchetta finisce subito nella cella-abbattitore, dove si abbassa velocemente la temperatura evitando il proliferare di batteri. Così, senza alcun conservante, può mantenersi fino a 14 giorni.
Qui si lavorano maiali da 100 a 130 chili vivi, che diventano porchette da 35-50. Ma anche tronchetti, la parte centrale del maiale, la più pregiata. In totale, l’azienda riesce a sfornare fino a 36 porchette al giorno nei periodi di massima richiesta, ovvero a maggio, ferragosto e settembre. Una volta sul banco del venditore la porchetta, tenera e saporita, viene affettata e adagiata dentro a due fette di pane cotto a legna, sormontata da pezzetti di fegatello e una striscia di crosta croccante. E’ il panino che, secondo usanza, va accompagnato a vini dal carattere deciso, come Rosso o Sagrantino di Montefalco. Ma anche con birra Mild Ale, ambrata e dissetante, o le più rotonde e speziate Trappiste e D’Abbazia. Oggi simbolo del moderno street food, ma da secoli anima della convivialità durante le feste della tradizione.
Filippo Benedetti Valentini
saperefood.it