Nella politica estera americana il terrorismo, dopo il fallito attentato di un giovane nigeriano bloccato dagli altri passeggeri, è balzato in primissimo piano. L’atmosfera sembra quella del 2001, quando crollarono le Torri Gemelle e l’allora amministrazione si trovò a dover prendere decisioni difficili, magari troppo affrettate e poco ponderate.
Le maglie dei servizi segreti hanno lasciato passare un attentatore di cui era conosciuta l’identità e le propensioni e che era stato segnalato addirittura dal padre. Il giovane kamikaze, in realtà, era stato scoperto e sarebbe stato bloccato appena uscito dall’aereo, ma è proprio questo il punto: se fosse riuscito a comporre il dispositivo che aveva nelle mutande e a farlo esplodere, il danno sarebbe stato già fatto, in barba alla Cia e all’Fbi. Obama, essendo anche capo dei servizi, si è assunto pubblicamente la responsabilità di quanto accaduto, ma i buchi testimoniano che quando i kamikaze vogliono, possono colpire come e dove vogliono.
Non sappiamo se i raid ci saranno, come era stato in un primo tempo minacciato.
Probabilmente sì: le cautele sia da parte americana che yemenita sono d’obbligo, specie prima di un blitz. Il fatto che nei giorni scorsi due o tre rappresentanti locali di Al Qaeda siano stati uccisi significa che l’offensiva c’è già. Si tratta solo di sapere in che modo, ma questo lo si potrà giudicare in un futuro più o meno prossimo.
Ci sono, però, notizie, apparse sulla stampa nazionale, che parlano di una svolta nei rapporti tra Washington e Roma, avvenuta proprio nelle ultime settimane, anche se il successo del G8 di luglio non deve essere proprio del tutto estraneo a questo cambiamento.
In base a queste notizie, pare che i rapporti tra Obama e Berlusconi, a partire dall’insediamento del primo, non fossero così idilliaci come lo pretendevano le note ufficiali, più da parte italiana che da quella americana. Al di là delle dichiarazioni diplomatiche, sarà perché tra Berlusconi e Bush c’era uno stretto rapporto, sarà che dall’Italia dal mese di giugno in poi provenivano segnali di un imbarbarimento politico interno non certo favorevole alla costruzione di una solida partnership, fatto sta che nei confronti dell’Italia c’era diffidenza. Poi, è intervenuto qualcosa che ha provocato la svolta.
Gli esperti la fanno risalire alla visita di David Thorne ad Arcore il 30 dicembre scorso, quando l’ambasciatore americano ha fatto visita al premier aggredito un paio di settimane prima. La visita è durata quattro ore, un tempo eccessivo per una visita di cortesia. In realtà, durante quella visita, alla presenza di Gianni Letta, deve esserci stato un approfondimento della situazione politica italiana ed evidentemente gli americani hanno ritenuto gl’interlocutori convincenti e affidabili.
Fatto un bilancio dell’anno, le indiscrezioni di stampa riferiscono che gli americani hanno apprezzato l’iniziativa italiana in almeno quattro campi. Il primo è rappresentato dalla decisione del governo, sostenuta anche da una parte dell’opposizione (Pd e Udc), sotto la regia del presidente della Repubblica, di offrire mille uomini in più da inviare in Afghanistan. Mentre i governi di altri Paesi dell’alleanza o hanno rifiutato o hanno inviato un aumento simbolico o hanno fatto promesse non suffragate da atti concreti, l’Italia ha rapidamente accettato l’invito e deciso in Parlamento.
Il secondo campo è rappresentato dall’affidabilità dei servizi segreti italiani. Si ricordi l’attentato a Milano. Allora il ministro degl’Interni, Roberto Maroni, affermò che bisognava alzare la guardia perché c’era pericolo che il terrorismo si stesse preparando a nuovi attentati. Probabilmente fu allora che i servizi segreti americani ebbero notizie che poi si sono rivelate fondate. Ancora: la guida di Unifil in Libano pare sia stata particolarmente apprezzata dalla Casa Bianca perché il generale Claudio Graziano ha evitato parecchie situazioni di scontro.
Le ultime due iniziative italiane – la disponibilità ad accettare tre detenuti di Guantànamo e l’appoggio diplomatico prestato per favorire una riunione di ministri di Esteri e Interni del Centro America contro la criminalità – hanno fatto il resto.
Insomma, tra Italia e Usa c’è molto di più di ciò che l’apparenza dice e lo testimoniano tanti fatti che in genere restano nell’ombra: dalla visita di Gianni De Gennaro, direttore del Dipartimento informazioni per la sicurezza, negli Usa con i suoi omologhi dell’intelligence americana, alla riunione del ministro degli Esteri Franco Frattini con Hillary Clinton il 25 gennaio prossimo e alla preparazione della visita in Italia di un rappresentante americano di alto livello (forse Biden?).
Certo, l’Italia non è una grande potenza, ma i fatti di politica internazionale dimostrano che, fermo restando questo limite, svolge comunque un ruolo importante e positivo e i riconoscimenti, a quanto pare, non mancano.
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