“La direttrice della nostra scuola ha detto: Firenze va aiutata”, la storia della nostra lettrice, Francesca Tinella
Francesca Tinella è una connazionale impegnatissima, si occupa dei suoi nipoti con tanto amore e lo stesso impegno lo dimostra anche facendo volontariato presso la Missione Cattolica Italiana Sacro Cuore di Oerlikon.
Da giovane, la pugliese ha fatto un’esperienza che oggi vuole raccontare in memoria di ciò che ha vissuto quando da minorenne andò a Firenze per studiare infermieristica e si trovò ad affrontare la tragica alluvione del novembre cinquanta anni fa. Francesca sarebbe dovuta essere a Firenze lo scorso 4 novembre proprio per la commemorazione del 50° anniversario dell’alluvione 4 novembre 1966 – 2016, alla presenza del Presidente della Repubblica, ma da nonna, con grande cuore e senso di responsabilità, non se l’è sentita di lasciare i nipoti.
Quando Don Lorenzo della la Missione Cattolica Italiana Sacro Cuore di Oerlikon visitò la città toscana accompagnato da Francesca Tinella, capì subito quanto è forte “il legame tra la sua vita e Firenze”, decise così di prendere contatto con il sindaco.
“Ho dovuto specificare tutti i dati che avevo di Francesca e loro li hanno verificati nei registri di Firenze. Ho fatto tutto all’insaputa di Francesca”, ci racconta Don Lorenzo. La grande sorpresa fu svelata da Don Lorenzo proprio per il settantesimo compleanno della donna: Francesca “ha ricevuto l’invito per la commemorazione in sala, ottenendo il posto vicino al presidente degli ‘Angeli del fango’”. Angeli del fango furono chiamati i tanti soccorritori improvvisati che in quel difficile momento furono pronti a sacrificarsi per aiutare chi aveva bisogno e a salvare i numerosi oggetti patrimoni della nostra cultura e Francesca fa parte di loro. Anche se non ha potuto partecipare alla commemorazione, ci tiene a raccontare quello che ha vissuto, e lo fa tramite le nostre pagine, ecco la sua storia.
L’intervista
Francesca, come si è sentita quando ha saputo della sorpresa di Don Lorenzo?
Non ci ho creduto, ero davvero sorpresa, così come tutti gli altri.
Perché si trovava a Firenze a quei tempi?
Studiavo per diplomarmi infermiera professionale a Firenze. Sono nata in Puglia, sono stata dieci anni in collegio a Trani e ad un certo punto avevo questo desiderio di staccarmi. Firenze, da piccola, mi è sempre piaciuta: il mio luogo di nascita è Fasano, ma dove ho vissuto, studiato e lavorato è Firenze.
Tra tutte le scuole a cui mandai il mio curriculum per poterle frequentare, Firenze mi rispose subito. A quei tempi si diventava maggiorenne a 21 anni, io avevo appena 17 anni, però da orfana di mamma mi presero alla scuola Beatrice Portinari di Villa Pepi a Firenze. L’anno prima di prendere il diploma, era il ’66, fu l’anno dell’alluvione.
Quali sono le immagini che ha davanti a sé se pensa a quel periodo?
Quella di affacciarmi dal nostro dormitorio e vedere Firenze sott’acqua. Girando la testa a destra e sinistra vedevamo arrivare camion e carri armati, l’impressione era quella di essere in guerra. Si vedevano solo i grandi palazzi emergere dall’acqua, i primi piani erano completamente allagati.
Un’altra cosa che non dimenticherò è una finestra aperta, forse la potenza dell’acqua l’aveva aperta, e c’era una bara che veniva trascinata dalla corrente fuori e dentro dall’abitazione attraverso la finestra. Sono delle immagini che, come fotografie, mi sono rimaste impresse nella mia mente. La situazione era simile ad una guerra anche perché c’era mancanza di cibo, avevamo davvero poco e niente, mio padre dalla Puglia mi mandò un pacco urgente che conteneva del formaggio e della carne conservata.
Quale era il suo compito?
Ci hanno divisi in squadre di circa 20 persone e ci hanno indirizzati lì dove c’era bisogno. La mia squadra è stata mandata alla chiesa Santa Croce, è stato lì che abbiamo trovato per caso, in mezzo al fango, il Crocifisso di Santa Croce, l’opera di Cimabue, e l’abbiamo salvata. Il nostro compito era quello di spalare e tirare fuori dal fango libri sacri, quadri, oggetti liturgici, un patrimonio molto prezioso.
Le squadre venivano divise tra i reparti dell’ospedale e Firenze, si faceva a turno. Partivamo per la città con grandi camion militari, altrimenti non si poteva arrivare nelle zone critiche come il Ponte Vecchio, gli uffizi etc. Ci diedero degli stivali e abbiamo lavorato, abbiamo aiutato a salvare tutto il patrimonio. La nostra direttrice non ci ha forzati ad aiutare, ha detto: “chi se la sente, Firenze va aiutata!”. Noi abbiamo aiutato per diversi mesi.
Ha avuto paura? Ha pensato mai di abbandonare il luogo?
Sì, ho avuto paura di affogare, perché l’acqua continuava a scendere per le strade, vedendola avevo questo timore, anche perché il pericolo c’era. Eravamo completamente infangati, dalla testa ai piedi, è da lì che nasce anche il nome “Angeli del fango”.
Sinceramente sarei tornata a casa mia il primo giorno, ma guardando gli altri che si davano da fare mi chiesi “perché devo fare la stupida e non fare niente?”. Mi dicevo che se ce la facevo a prendere in braccio persone svenute, ce l’avrei fatta anche a spalare e così è stato. La paura di affogare e la paura di non farcela ci sono state, lo spirito di comunità e salvare il salvabile, però erano più importanti.
E così è stata invitata dal sindaco di Firenze per la commemorazione…
Sì ed è un grande onore, ma anche un grande dispiacere non poter essere stata presente a commemorare quel giorno, ma avendo la responsabilità di guardare i miei nipoti per me è stato impossibile partecipare. Ringrazio molto il sindaco di Firenze, Dario Nardella, per avermi scritto e che l’invito sia giunto fino in Svizzera.
“Giovani, siate Angeli della polvere”
“Rivolgo un appello ai giovani di oggi: diventate gli angeli della polvere! Andate nelle zone dell’Italia centrale colpite dal terremoto e aiutate la popolazione, aiutate a salvare i monumenti e le opere d’arte danneggiate”. L’appello è stato lanciato da Susan Glasspool, un ‘Angelo del fango’ accorsa giovanissima dall’Inghilterra nella Firenze alluvionata del novembre 1966, dal Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio dove è in corso per tutta la giornata commemorativa del 50° anniversario dell’alluvione dell’Arno.
Un appello che è stato salutato da un lungo e caloroso applauso dall’affollato salone fiorentino dove sono radunati un migliaio di Angeli del fango, italiani e stranieri, commossi nel ricordo delle tragedie di ieri e di oggi.
Numerose le testimonianze che si sono succedute da parte dei giovani di allora che arrivarono a Firenze per spalare il fango che aveva invaso la città. Tanti i momenti di commozione nei racconti di chi si adoperò per salvare capolavori piccoli e grandi della storia dell’arte.
“Siamo venuti da tante parti nell’autunno del 1966 a Firenze perché sapevamo di fare la cosa giusta – ha detto Susan Glasspool – Non ci sentivamo angeli, anche perché eravamo sporchi e puzzolenti. Con noi stranieri c’erano anche tanti giovani fiorentini e furono poi i fiorentini a chiamarci Angeli del fango. E a spalare c’erano poi i tanti soldati di leva e i vigili del fuoco, che senza sosta aiutarono a ripulire la città. Perché lo facemmo? Non certo perché avevamo una coscienza politica, che arrivò dopo. Lo facemmo perché volevamo salvare la bellezza di Firenze, città unica al mondo”.
Tra i presenti anche un gruppo di Angeli del fango che giunsero dall’Olanda, allora studenti dell’Università di Utrecht. Hanno raccontato del loro impegno per pulire la basilica di Santa Croce e l’Istituto degli Innocenti. “Ogni giorno venivano i fiorentini a ringraziarci e ricordo un prete che ci portava anche i cioccolatini Baci Perugina”, ha detto una studentessa di allora.
Adnkronos
La lettera di Francesca
Era l’anno prima del mio diploma, il 4 novembre del 1966. Avevo ricevuto la visita di mio padre, mia sorella e mio cognato. Fortunatamente loro fecero in tempo a ripartire per la Puglia la sera del 3 novembre 1966.
Il mattino dopo fui svegliata dalla direttrice informava tutte noi allieve della scuola Beatrice Portinari di Villa Pepi che Firenze era alluvionata. L’Arno era straripato e la situazione, ci disse, era tragica. Alla nostra scuola, situata sopra la zona di Careggi, l’acqua non arrivò. I nostri superiori ci dissero di trasferirci in altre stanze dove aggiungemmo dei letti liberando un’ala per ospitare i soccorritori. Arrivarono nel nostro grande cortile tantissimi camion di militari e civili italiani e stranieri.
Mi resi conto della gravità ed ebbi l’impressione di essere in guerra. Ci venne razionato cibo ed acqua, i piatti non venivano lavati ma puliti con la carta igienica. Non ricordo con precisione il giorno ma ricordo che alcune di noi allieve ci recammo prima in servizio in reparto arcispedale di Careggi poi in centro città dove insieme a tanti si lavorava per cercare di salvare il patrimonio artistico di Firenze. Nunzio Filogamo, conduttore radiofonico e televisivo, inviò un annuncio assicurando che tutte le allieve della scuola Beatrice Portinari non correvamo nessun pericolo mettendo cosi l’anima in pace ai nostri cari.
Nei giorni scorsi ho ricevuto l’invito dal sindaco di Firenze, che ringrazio tanto, a partecipare alla cerimonia per il 50° anniversario dell’alluvione alla presenza del presidente della repubblica Sergio Mattarella… Avrei voluto esserci ma vivo da 43 anni a Zurigo e per motivi di famiglia non ho potuto essere presente però ho voluto ricordare con questo articolo quel tragico anniversario.
Tinella Francesca
Manuela Salamone
Foto: Ansa