È stata una settimana nera per la sanità italiana o, meglio, per i poveri malcapitati che hanno avuto la sventura di sperimentarne l’incuria. L’edizione del sette gennaio dei quotidiani riporta una serie di notizie di decessi che sembrano anomali e di cui si sta occupando la Magistratura. Il primo caso riguarda l’ospedale di Foggia, dove tra l’altro il ministro della sanità ha inviato gli ispettori per verificare fatti e responsabilità e dove nascono circa 2500 bambini l’anno, un ospedale che certamente non ha cattiva reputazione.
Dunque, a Foggia le cronache hanno riferito della morte di due neonati, vicini di culla e deceduti ad una settimana di distanza.
È stata aperta un’inchiesta della Procura. I genitori accusano l’ospedale di un’infezione che avrebbe causato la morte dei due bimbi e che si sarebbe potuta curare, mentre l’ospedale afferma che sono morti per problemi che avevano manifestato subito dopo la nascita.
I risultati delle autopsie parlano di setticemia, un’infezione che può avere diverse cause, come ad esempio un’operazione chirurgica o dei trattamenti non perfettamente sterili.
Si poteva fare qualcosa e in tal caso la colpa sarebbe dei medici oppure non c’era nulla da fare? La prima bambina, Giorgia, nata con un parto cesareo programmato, era nata con un polmone umido, cioè con l’acqua negli alveoli, un problema che rende difficile l’ossigenazione del sangue. Respirava male, il trasferimento in terapia intensiva non è bastato, la bambina è morta dopo appena due giorni. Il secondo caso, quello di Samuele, anche lui nato con parto cesareo in anticipo perché non cresceva bene nella pancia della madre.
Pesava un chilo e ottocento, normale per un bimbo nato dopo sette mesi e mezzo, ma dopo due giorni ha accusato dolori. La cartella clinica parla di “enterocolite necrotizzante”, cioè un’alterazione dei tessuti intestinali che può colpire i neonati sottopeso e prematuri. L’intestino era perforato ed era entrato in peritonite. Operato d’urgenza, è morto dopo poche ore. Come si vede, i neonati avevano problemi seri. Il direttore sanitario parla di “due fatti non collegati tra loro” e di setticemia che “potrebbe essere una conseguenza delle patologie che i due piccoli avevano”. L’inchiesta accerterà se si poteva fare qualcosa di più o se le patologie dei bimbi erano tali che non si poteva fare di più.
Se i casi di Foggia sembrano doversi attribuire a patologie molto serie, quello di Trento sembra proprio dovuto a una serie di negligenze, una più grave dell’altra. Paola Cagol, 50 anni, muore l’otto maggio 2008. L’anno prima era andata a fare un pap test all’ospedale San Camillo di Trento. Il risultato le doveva essere inviato a casa, ma non arriva mai. Dopo sei mesi di attesa, la figlia si reca all’ospedale a chiedere informazioni e scopre che la madre aveva un carcinoma all’utero.
Il test non le era stato inviato – questa fu la giustificazione alquanto fragile – perché non aveva pagato il francobollo per la spedizione.
L’ospedale, insomma, trattiene sei mesi un test con quell’esito terribile senza fare nulla. Ma il calvario della donna non è finito. Al terzo ciclo di chemioterapia la paziente arriva con un livello di globuli bianchi molto basso. L’avvocato della famiglia dice che “non è stata messa in atto un’adeguata profilassi per alzare le difese immunitarie dopo cure tanto pesanti”. Il trenta aprile viene dimessa “senza particolari avvertenze”. Dopo sette giorni la donna si sente male, all’alba la famiglia chiede aiuto al reparto di oncologia ma viene dirottata alla guardia medica che le dà tachipirina.
Le condizioni peggiorano, il 118 è sovraccarico e passa la chiamata alla guardia medica che diagnostica un virus intestinale, solo dopo una seconda chiamata arriva l’ambulanza ma la donna muore poche ore dopo.
Si sarebbe potuto fare qualcosa di più per salvare la vita di questa donna? Se esistono dubbi per i casi di Foggia, qui non ce ne sono affatto: sono in tanti ad essersene lavati colpevolmente le mani. Ora del caso di occupa la Magistratura. Terzo caso. Un uomo di ottant’anni cade dall’ambulanza e muore.
Le responsabilità di chi sono? Dell’uomo che, dopo aver rifiutato la carrozzella, in ambulanza avrebbe azionato la maniglia ed è caduto, come dice il personale, o del personale dell’ambulanza che non avrebbe seguito le regole? Se ne occupa la procura di Bari.
Ultimo caso è quello di una donna incinta di due gemelli alla trentatreesima settimana, la quale, sentitasi male (era già in ospedale), è stata portata in sala operatoria per il parto cesareo d’urgenza, ma è morta durante l’intervento per arresto cardio-circolatorio.
Secondo il marito, la donna stava male già da alcuni giorni. Questi casi sono stati divulgati il 7 gennaio, ma sono avvenuti a distanza di tempo e in mesi diversi, tuttavia sono solo la punta dell’iceberg di una sanità dove avvengono troppi fatti che non dovrebbero succedere.
Le denunce presentate in un anno dai pazienti sono 18 mila. È necessario istituire un Garante della salute, come propone Ignazio Marino, chirurgo e politico del Pd?
Oppure il Garante altro non sarebbe che un ennesimo carrozzone? Forse un controllo sul rispetto delle regole (orari di servizio, puntualità, produttività) e sulle responsabilità (chi sbaglia, paga, anche con il licenziamento dopo ripetute colpe) e l’eliminazione dell’intra moenia (incompatibilità tra lavoro in ospedale e attività privata, dentro o fuori dell’ospedale) aiuterebbe di più la sanità a funzionare meglio.
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